«Voglio che sappiate quanta pressione sopportiamo noi LGBT. Rischiamo la vita per le nostre emozioni, Spero che arrivi il giorno in cui potremo vivere in libertà nel nostro paese. Sto viaggiando verso la libertà ora... Se non ce la faccio, avrò dato la mia vita per questa causa». Sono le parole scritte in una lettera da Zahra Seddiqi Hamedani, una donna iraniana di 31 anni che stava tentando di fuggire dal suo paese verso la Turchia nell'ottobre del 2021.

Cercava di ottenere asilo a causa del suo orientamento sessuale non conforme allo Stato etico di Teheran che comporta pene durissime, dalla fustigazione alla condanna a morte. La fuga però non è andata a buon fine e la donna è stata catturata il 27 ottobre dello stesso anno dalle forze di intelligence dell'IRGC, immediatamente trasferita e internata in isolamento per due mesi nel reparto femminile del centro di detenzione a Urmia nell'Azerbaigian occidentale.

Ora la drammatica sentenza da parte della giustizia iraniana: condanna a morte. Con lei è stata condannata un'altra donna, la 24enne Elham Choubdar di cui non si hanno molte notizie se non che è originaria di Urmia. Sono accusate di diversi reati tra cui quelle di promuovere l'omosessualità, il cristianesimo e di comunicare con i media ostili alla Repubblica islamica.

Secondo i magistrati in realtà le sentenze non sarebbero collegate all'attivismo per i diritti delle persone LGBT. L'agenzia Mizan riferisce che «contrariamente alle notizie pubblicate nel web sono accusate di ingannare donne e ragazze e di portarle all’estero». Parole che non convincono anche perché uno dei capi di imputazione recita letteralmente «corruzione sulla terra» e cioè trasgressione della legge imposta dalla Repubblica islamica. A dare notizia della condanna alla pena capitale è stata l'organizzazione per la difesa dei diritti umani Hengaw che ha sede in Norvegia. L' Ong ha anche riferito che Zahra Sediqi Hamadani è stata privata del diritto di ottenere l'assistenza di un avvocato durante la sua detenzione, e che gli agenti di sicurezza l'hanno minacciata, insultata per la sua identità e il suo aspetto oltre alla possibilità che venisse privata della custodia dei suoi due figli.

Hengaw ha spiegato che accuse derivano dalla difesa pubblica dei diritti LGBT sui social media e dalla apparizione di Zahra in un documentario della BBC del maggio 2021 sugli abusi che le persone omosessuali stavano subendo nella regione semi- autonoma del Kurdistan iracheno, dove viveva. Quanto alla diffusione del cristianesimo è bastato indossare una collana con una croce. In Iran i cittadini riconosciuti come cristiani, zoroastriani o ebrei non possono impegnarsi in espressioni religiose pubbliche.

Anche l'Iranian Lesbian and Transgender Network (6- Rang), con sede in Germania, ha confermato le condanne a morte per le due attiviste e ha invitato i governi stranieri a fare pressione sull'Iran affinch1é vengano rilasciate. Il caso e infatti eclatante anche perché si tratta della prima donna che viene condannata a morte per il suo orientamento sessuale, una sorte che potrebbe toccare anche a Soheila Ashrafi, 52 anni, sempre di Urmia, imprigionata nel reparto femminile del penitenziario centrale e in attesa del verdetto.

Si sta costruendo dunque una campagna internazionale che faccia luce sulla situazione delle persone LGBT in Iran, a questo proposito anche Amnesty International e intervenuta descrivendo Zahra Sediqi Hamdani come un difensore dei diritti umani «arrestato arbitrariamente contro gli standard internazionali a causa della sua identità di genere reale o presunta, e dei suoi post e dichiarazioni sui social media in difesa dei diritti degli omosessuali, bisessuali, transgender e intersessuali».