Per la terza volta il gip di Venezia riapre l’inchiesta sul giallo di Maria Teresa “Sissy” Trovato Mazza, la giovane agente di Polizia penitenziaria uccisa da un colpo di pistola alla testa nell’ascensore dell’ospedale civile di Venezia dove si trovava in servizio esterno per verificare la situazione di una detenuta che aveva partorito.

Dopo l’udienza di inizio luglio, in cui per l’ennesima volta i famigliari si erano opposti alla tesi della procura di Venezia che sia stato un suicidio, il gip ha respinto richiesta di archiviazione e ordinato nuove indagini sia sul telefonino della donna che sulla dinamica balistica, visto che la perizia di parte dell’ex generale dei Ris Luciano Garofano dimostrerebbe la presenza di un’altra persona. Sissy fu trovata agonizzante il primo novembre 2016 in un ascensore dell'ospedale di Venezia (dove aveva visitato una detenuta), con un proiettile che le aveva trapassato il cranio e rimase in coma fino alla morte, nel gennaio 2019. “Esprimiamo soddisfazione per il provvedimento del gip - commentano i legali - confidiamo che si arrivi alla verità”.

Ricordiamo che nell'autunno del 2019 la Procura ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta sostenendo che si è trattato di un suicidio e che non vi è alcun mistero da chiarire (la morte della giovane è avvenuta il 12 gennaio del 2019, dopo due anni di calvario). Ma, a gennaio del 2020, una detenuta del carcere della Giudecca, ha rivelato all'allora comandante della polizia penitenziaria, alcuni episodi a sua conoscenza che indicano una collega di Sissy come possibile responsabile dell'uccisione, su mandato di alti vertici del carcere. l tutto perché la ventottenne sarebbe stata considerata una presenza scomoda, alla luce delle ripetute segnalazioni presentate ai superiori su giri di droga nelle celle, ma anche e soprattutto su rapporti sentimentali (e sessuali) tra detenute e agenti di custodia.

Da allora il pm Elisabetta Spigarelli ha eseguito una serie di accertamenti alla ricerca di eventuali conferme e riscontri, senza trovarli, e la detenuta è finita sotto accusa per il reato di calunnia per aver accusato l'agente di polizia penitenziaria di omicidio pur sapendola innocente. La Procura ha già chiesto il suo rinvio a giudizio: tra le cose da chiarire al processo vi è il perché la detenuta abbia deciso di fare le sue rivelazioni a distanza di oltre due anni dal fatto. Nel frattempo era uscita dal carcere grazie ad alcuni permessi.

Dopo una seconda richiesta di archiviazione respinta, arriva infine una terza: dopo l’udienza di inizio luglio, in cui per l’ennesima volta i famigliari si erano opposti alla tesi della procura di Venezia che sia stato un suicidio, il gip Silvia Varotto ha respinto l’ennesima richiesta di archiviazione e ordinato nuove indagini su due dei punti evidenziati dai legali della famiglia, gli avvocati Eugenio Pini e Girolamo Albanese: il primo è la richiesta di geolocalizzazione del telefono, che venne ritrovato nel suo armadietto ma che secondo i famigliari lei non mollava mai; il secondo è un approfondimento della dinamica balistica dopo che la perizia di parte dell’ex generale dei Ris Luciano Garofano avrebbe dimostrato che non è stato un suicidio, ma che c’era un’altra persona.