di Amedeo Labocetta*

Perché Carlo Nordio sarebbe il miglior ministro della Giustizia auspicabile? Il prossimo Parlamento dovrà impegnarsi in una radicale, estesa e profonda riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario. Con priorità alla separazione delle carriere tra giudici e pm. Riforma da sempre invocata dall’avvocatura e avversata dalla Anm, e che oggi appare non più differibile, come sostenuto da tutti i giuristi di formazione liberale. La separazione giova alla professionalità del pm e alla terzietà del giudice. Terzietà che, viceversa, viene evidentemente appannata se la vocazione iniziale – essere giudice o pm – e il concorso di accesso sono comuni. Il Dottor Nordio è profondo conoscitore della materia. Da oltre trent’anni sostiene e correttamente argomenta la necessità della separazione delle carriere. Della questione dunque nessuno, anche tra altri potenziali guardasigilli, è così autentico conoscitore. Va anche ricordato che l’ex procuratore aggiunto di Venezia, nel sostenere questa tesi e la necessità di altre riforme liberali della giustizia, è stato sempre voce dissonante dal coro dei suoi colleghi. Ha proposto le sue idee anche sfidando una certa diffidenza che l’Anm gli ha sempre riservato. Nel nuovo Parlamento, in cui potrebbe realizzarsi l’occasione storica di attuare la riforma sulle carriere dei magistrati e di garantire un passo avanti nella civiltà giuridica del Paese, nessuno meglio del Dottor Nordio sarà, a mio giudizio, capace a cogliere quest’opportunità. Non deve sorprendere che sia un uomo politico di destra a comprendere la necessità di questo intervento legislativo. La destra liberale ha sempre avuto a cuore il rispetto delle garanzie. Il Pd, invece, è da sempre schierato su posizioni in grado di riscuotere il consenso dell’Anm; e dunque, non solo mai si renderebbe artefice della riforma, lo si può dare per assai probabile, attuerà ogni sforzo per ostacolarla, come certamente solleciterà la magistratura associata. D’altra parte, perfezionando il ritratto di Nordio, va anche detto che non è un politico di destra dell’ultima ora, perché già da epoca remota, dal 1998, è attivo nella storia del pensiero politico della destra, avendo fornito un fecondo contributo di idee al settimanale “Lo Stato”, di cui era direttore Marcello Veneziani e che aveva premura di diffondere il pensiero politico più acuto e illuminato della destra. Interessante è anche la riflessione sulla necessità di ripristinare l’articolo 68 della Costituzione nella forma in cui prevedeva l’immunità parlamentare, a suo tempo concepita come garanzia irrinunziabile della separazione dei poteri. È chiaro che la precisazione del Dottor Nordio ha uno stimolante carattere provocatorio. Se, infatti, sembra quasi voler invitare il Parlamento a mettersi in sicurezza per realizzare la riforma senza patire ritorsioni dall’ordine giudiziario, in realtà intende sollecitare la politica, con o senza immunità, a riappropriarsi delle proprie funzioni sovrane, e a esercitare il potere legislativo che solo al Parlamento compete, in assoluta autonomia e piena indipendenza, senza piegarsi a condizionamenti o pressioni esterne, soprattutto se provenienti dall’ordine giudiziario, le cui funzioni sono altrettanto indipendenti ma non possono interferire nell’indipendenza del processo di formazione delle leggi. Io credo che l’Onorevole Giulia Bongiorno non possa vantare la stessa sensibilità. Eletta nel 2008, grazie a Gianfranco Fini fu presidente della commissione Giustizia e fornì un contributo sostanziale al naufragio delle riforme sull’ordinamento giudiziario. L’opposizione ad ogni riforma liberale determinò il rafforzamento della soggezione della politica al cosiddetto partito dei giudici, e fu strumentalizzata per suggellare il crollo di Berlusconi, fortemente auspicato da Fini. In altri termini, le scelte di Fini, ispirate da Bongiorno, hanno consentito che si perdesse l’occasione per inaugurare la stagione delle riforme liberali, fino a creare un vero e proprio corto circuito istituzionale, nel quale parte della destra finì per omologarsi alla sinistra, ed entrambe si consegnarono al partito dei magistrati, svilendo, ancora una volta, il ruolo del Parlamento. Questi antecedenti non possono essere trascurati, nel momento in cui si immagina il profilo del nuovo guardasigilli. Probabilmente Matteo Salvini non ha patito sulla propria pelle quelle vicende, e per questo non apprezza la lezione che la storia impone a ciascuno di noi. La sua scelta di appoggiare i referendum sulla giustizia, però, era un segnale rassicurante, e spero non voglia disperdere del tutto quella sensibilità. Si avverte a distanza di oltre trent’anni dalla stagione di Mani pulite - vero innesco della confusione tra i poteri e del proposito di sopraffazione delle prerogative parlamentari da parte della magistratura - la necessità di riequilibrare le funzioni dello Stato, in modo da imporre a ciascuna il rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza delle altre. Il Dottor Nordio, per formazione culturale e professionale e per lungo impegno personale, ha piena conoscenza del problema e adeguata sensibilità per sollecitare le opportune riforme. Conoscenza, competenza e sensibilità che, in verità, non si riscontrano in altri potenziali inquilini di via Arenula. In altre parole, e una volta per tutte: essere di destra non significa essere manettari. Essere di destra significa rispettare la legge, innanzitutto la Costituzione e le garanzie che essa ci impone. (*presidente dell’Associazione Polo Sud, già deputato di An e FI)