Non trova pace l’abuso d’ufficio, il terrore della pubblica amministrazione, il reato “prezzemolo” che da anni ormai non si nega a nessun sindaco o assessore. L’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, ministro della Giustizia in pectore di un eventuale futuro governo di centrodestra, candidato al Parlamento con FdI, ha avanzato la proposta di abolire del tutto l’abuso d’ufficio per scongiurare il rischio dell’amministrazione “difensiva”, la cosiddetta paura della firma. Immediata la reazione dell’ex presidente Anm Eugenio Albamonte, pm a Roma ed esponente di punta delle toghe progressiste, secondo cui una simile riforma creerebbe una giustizia «forte con i deboli e debole con i forti», di fatto un ritorno a «pre Mani pulite».

L’abolizione dell’abuso d’ufficio è da sempre uno dei cavalli di battaglia del centrodestra. Il leader della Lega Matteo Salvini non perde occasione per ricordare che tanti amministratori gli chiedono sempre il superamento del reato: «Ci sono 8mila sindaci bloccati che non firmano nulla per paura di essere inquisiti», ha detto Salvini. A fagli eco è Forza Italia, con Pierantonio Zanettin, secondo il quale sarebbe auspicabile che «tutte le forze parlamentari' mettessero mano all’abuso d’ufficio per una riforma condivisa». Proposta inaccettabile per i grillini che pure hanno visto alcuni loro amministratori locali travolti dagli avvisi di garanzia per quella fattispecie.

Va detto che non tutti i magistrati la pensano come Albamonte. Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, da presidente dell’Anac, si era sempre mostrato possibilista su una modifica, affermando che «la norma non funziona». E di modifiche, l’abuso d’ufficio ne ha avute tante: la norma è cambiata nel ’ 90, nel ’ 97 e nel 2020. La modifica intervenuta due anni fa limita il reato alle sole regole che non implicano l’esercizio di un potere discrezionale, escludendo quindi che la violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, se caratterizzata da margini di discrezionalità, possa integrare un abuso d’ufficio penalmente rilevante. Modifica che non ha però soddisfatto gli amministratori. Il presidente Anci Antonio De Caro ( Pd) ricorda: «Non cerchiamo l’impunità, ma sono troppi i rischi penali e civili».

«L’Italia è un Paese che ha 200mila leggi, decine di migliaia di regolamenti di attuazione e di altre regole applicative delle leggi approvate. Ha un tasso di cambiamento vertiginoso che si aggiunge all’inflazione legislativa», ha affermato il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ( Pd), più volte indagato per abuso d’ufficio. Lo “spauracchio” è determinato dalla famigerata legge Severino che consente di sospendere dall’incarico gli amministratori condannati anche solo in primo grado per reati contro la Pa. Senza considerare le conseguenze ‘obbligatorie’ per il funzionario condannato, sempre solo in primo grado: decurtazione dello stipendio e trasferimento. Ebbene, interpellato dal Dubbio, anche il deputato dem Alfredo Bazoli, si dice favorevole ad una riflessione proprio sulla legge Severino, mentre considera l’ultima formulazione del reato come un buon compromesso.

«Il referendum dello scorso giugno che voleva abrogare del tutto la Severino ha complicato la discussione fra i partiti. Il Pd è favorevole a una riscrittura di alcune parti della norma, differenziando meglio le responsabilità del ‘politico’, sindaco o assessore, da quelle del dirigente», osserva il deputato dem. Il dato di fatto è che, complice anche una giurisprudenza variabile a cadenza settimanale, per evitare di rimanere anni in balia della magistratura “l’autotutela” per il pubblico amministratore resta sempre quella del non fare nulla. A pagarne le conseguenze, però, non sono i magistrati ma i cittadini.