Un derby. Mai visto prima. Giulia Bongiorno Vs Carlo Nordio. È una partita tutta da vedere, interna al centrodestra ma potenzialmente decisiva per l’intero sistema giustizia. Nel passato recente non si ricordano casi analoghi, con un guardasigilli che abbia trovato un contraltare così autorevole quale ciascuno dei due potenziali ministri sarebbe per l’altro. Nelle ultime ore, tra Bongiorno e Nordio sono emerse distanze. In particolare sul ripristino dell’immunità parlamentare. Con un’intervista a Quotidiano nazionale, l’ex procuratore aggiunto di Venezia, due giorni, fa ha detto che sì, a suo giudizio la norma del vecchio articolo 68 va ripristinata, e che «i padri costituenti l’hanno voluta come garanzia dalle interferenze improprie della magistratura». Ne sono venute reazioni contrarie, non solo politiche. Anche da Bongiorno, appunto: «Non mi sembra una priorità», ha detto sia alla Stampa che al Fatto quotidiano. La Lega, si è espressa, con parole simili, pure per voce di Andrea Ostellari. Colpisce che Nordio non si sia lasciato scoraggiare dal “fuoco amico”. Al punto da diffondere poco fa un proprio personale comunicato, in cui cita peraltro solo il presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama e non anche Bongiorno: «In riferimento alle dichiarazioni del senatore leghista Ostellari (“L’immunità parlamentare non è una priorità”)», recita testualmente la nota, «arriva pronta la risposta di Carlo Nordio: “Concordo pienamente che oggi la priorità sia la riforma della giustizia nella parte in cui impatta con l’economia e la sicurezza. Ma in prospettiva, con una maggioranza coesa e duratura, occorre ridare alle politica la sua centralità, affrancandola da iniziative imprudenti, e talvolta faziose, di una certa magistratura”». Sembra un manifesto. Rivolto agli elettori, a tutti gli elettori di centrodestra: si tratta di capire se sono in maggioranza favorevoli alla chiave di Nordio. O se invece si sentono più attratti dall’abile prudenza del Carroccio. Certo, forse lo scudo per i parlamentari è il solo vero punto di attrito fra il candidato di Giorgia Meloni e la plenipotenziaria di Matteo Salvini, il quale ieri sera ha lanciato un’Opa su via Arenula: «Mi sentirei garantito da Bongiorno». Di sicuro il derby è uno snodo decisivo. Bongiorno ha il profilo dell’avvocata penalista in perfetta sintonia con le battaglie ordinamentali dei propri colleghi, dalla separazione delle carriere al superamento dell’obbligatorietà. Nordio è in lista con un partito, Fratelli d’Italia, che sembrerebbe un alleato temibile per la Lega proprio perché orientato, sul penale, verso posizioni ancora più restrittive, eppure l’ex procuratore aggiunto di Venezia è del tutto autonomo, ed è un garantista puro. Crede nel ritorno dell’immunità (ne parla anche nel libro “Le catene della destra”, uscito ieri, in cui, intervistato da Carlo Cerasa, cita Bettino Craxi) ma anche nel superamento dell’abuso d’ufficio, come ha detto lunedì in un’altra intervista, rilasciata a Libero. In ogni caso, non è dal dettaglio dei singoli punti di programma che dipende il dualismo. Si tratta piuttosto di una diversità di vocazione. Se a via Arenula andasse Buongiorno, avremmo una giustizia più sbilanciata verso le posizioni tradizionali sia della Lega che, per paradosso, della stessa Fratelli d’Italia: riforme dell’ordinamento, a cominciare dalle carriere separate, ma una certa maggiore attenzione alle attese dell’elettorato “legge e ordine”. Con Nordio vedremmo invece superato una volta per tutte il vizio prodotto da tangentopoli, l’eliminazione dell’immunità. Un riequilibrio atteso da lustri. Ma che è Forza Italia, anziché il partito di Meloni, a considerare un obiettivo. E che al centrodestra in generale porterebbe attacchi pesanti. Basti citare il 5S Mario Perantoni, che ieri ha definito il ripristino del vecchio articolo 68 «un insulto per chi ha lottato per una Italia più giusta e legalitaria, e per tutti i cittadini onesti. La proposta di Nordio», per il presidente della commissione Giustizia, «è espressione della peggiore destra». A cogliere il rischio di esporsi a controffensive velenose è persino il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza: il quale dice, sì, di condividere «totalmente» l’ipotesi di ripristinare l’immunità, ma aggiunge: «Bisogna ragionare sull’impatto», su come l’eventuale modifica «offra il destro a speculazioni: introdurre riforme di natura costituzionale e molto impegnative, che scatenerebbero il populismo più sfrenato, finirebbe per indebolire l’intero pacchetto» sulla giustizia. In ogni caso, nella teorica sfida Bongiorno-Nordio per il ministero di via Arenula, il centrodestra si gioca una parte notevole della propria identità sulla giustizia. Una volta per tutte va sciolto l’equivoco fra garantismo e intransigenza. Va sciolto fra i leader ma anche nell’elettorato. Proprio l’ex procuratore aggiunto di Venezia, nel colloquio con Quotidiano nazionale di domenica scorsa, ha osservato che parte dello stesso elettorato di Fdi «è più sensibile alla certezza della pena che non alla tutela della presunzione di innocenza». Ma è davvero così? Davvero tutti quelli che voteranno per Meloni, e si preannunciano numerosissimi, sono in sintonia con la tradizionale ispirazione general-preventiva di Fratelli d’Italia? Non è così scontato. Contro l’idea di ripristinare l’immunità si è pronunciato oggi anche il segretario generale dell’Anm Salvatore Casciaro: la riforma, ha detto, «rischierebbe di riproporre quegli abusi di cui è ancora viva la memoria». Con l’ex pm Nordio si finirebbe insomma per avere a via Arenula una figura considerata meno amichevole dalla stessa magistratura. Ma qui appunto si capirà cosa prevale oggi nel centrodestra: l’abilità strategica o una visione più sfrontata eppure più coerente con le battaglie del passato.