Che quella di Calenda non fosse solo una battuta estemporanea da campagna elettorale era chiaro da subito. Lo è ancora di più ora che Salvini, sia pur facendo i salti mortali per impostare le cose in modo apparentemente diverso, la ha di fatto ripresa. Se i partiti vogliono dal governo un intervento drastico, o che almeno alla drasticità si avvicini, contro la tempesta del caro energia, la tregua elettorale ufficialmente siglata e da tutti sottoscritta s'impone davvero. Non solo perché, nonostante i margini molto ampi concessi dal capo dello Stato, comunque di un governo in carica per l'ordinaria amministrazione si tratta, non solo perché qualsiasi decreto varato oggi dovrebbe essere poi convertito da un diverso Parlamento e con un diverso governo, ma anche, e forse soprattutto, perché qualsiasi intervento, senza un accordo preventivo, impatterebbe sulla campagna elettorale in modo inaccettabile. Per quanto ragionevole sia, è molto difficile che l'ipotesi prospettata dal leader di Azione e ora anche da quello della Lega si concretizzi. Di ostacoli ce ne sono molti e il principale è il dissenso non tra i vari partiti ma tra partiti e governo. Più o meno esplicitamente, le richieste dei partiti presuppongono tutte la scelta di fare nuovo debito con lo scostamento di bilancio. Ma su quel fronte Draghi e Franco sono granitici: con questo governo lo scostamento di bilancio è fuori discussione. Anche sulle misure, contenute e largamente insufficienti, ipotizzate dal governo, la distanza tra la tolda di comando dell'esecutivo e i partiti è vistosa. Letta, come Giorgetti, mira a un raddoppio del credito d'imposta per le imprese gasivore ed energivore attualmente al 25 per cento. Franco non vorrebbe andare oltre un modesto innalzamanto al 30 per cento. Sulla formula che molti, se non tutti, sbandierano come ricetta magica, l'introduzione del tetto sul prezzo del gas e lo sganciamento del costo dell'elettricità da quello del gas, la divisione è tanto tra i partiti quanto tra alcuni partiti e il governo. Letta ha messo sul tavolo l'ipotesi di un Price Cap introdotto dalla sola Italia in assenza di una decisione dell'intera Ue che non appare oggi a portata di mano. La destra è contraria. Draghi e Franco pure, considerando quella via non percorribile dall'Italia. Anche sui proventi della tassa del 25 per cento sugli extraprofitti, che le imprese stanno pagando in misura molto limitata anche grazie ai ricorsi, è molto difficile ipotizzare che la destra dia il semaforo verde a misure draconiane su una tassa a poche settimane dal voto. Più che sul presente, la suggestione unitaria può incidere però sul futuro. L'eventualità di un governo tanto forte in termini di maggioranza parlamentare quanto debole nel confronto con la realtà è realistica. Un nuovo governo entrerebbe in carica, nella migliore delle ipotesi, nella seconda metà di ottobre. Potrebbe trovarsi in una situazione resa già molto drammatica, quasi tragica, dai prezzi stratosferici dell'energia, ma anche dalla solo in parte conseguente inflazione, da una crisi sociale montante, dalla speculazione, che non mancherebbe di fare il suo, e dalla diffidenza, se non addirittura dall'ostilità, delle istituzioni sovranazionali. Proprio l'intreccio tra le divisioni della destra, oggi mascherate dalle esigenze della campagna elettorale, e le circostanze emergenziali spinge molti a ipotizzare sviluppi simili a quelli che hanno costellato la legislatura ormai quasi finita: lo scollamento della destra e la nascita di una nuova maggioranza a sostegno dell'ennesimo governo tecnico. Non si può escludere che le cose vadano proprio così, sempre che i risultati elettorali rendano la manovra possibile. Però non è neppure probabile perché le piroette di questa legislatura sono per molti versi irripetibili e comunque costerebbero al sistema e a ciascun partito la residua, già scarsa, credibilità. Per quanto oggi appaia fantapolitico è più probabile, e sarebbe infinitamente più credibile e meno devastante, che qualcuno provi a proporre una tregua, non di giorni ma di mesi, un rinvio della formazione del prossimo governo politico per dare invece vita a un governo di vera unità nazionale, necessariamente tecnico, incaricato affrontare e superare la crisi prima di rientrare, senza passare per nuove elezioni, nel normale corso della vita democratica. Si tratterebbe di una tregua non solo all'interno dell'Italia ma di fatto anche con l'Europa, che tratterebbe senza dubbio con diversa disposizione d'animo un governo tecnico sostenuto da tutti. È una via che potrebbe essere percorsa solo con l'intesa almeno di tutti i partiti maggiori, in particolare di FdI e Pd e che dunque sembra oggi un miraggio. Ma domani potrebbe invece essere imposta dai fatti e soprattutto potrebbe convenire a tutti.