«Una donna che presenta una denuncia per atti persecutori nei confronti del suo compagno, non può poi essere lasciata sola in attesa dei provvedimenti della magistratura: servono strutture di supporto, luoghi protetti». A dirlo è l’avvocata Sonia Bartolini, cugina di Alessandra Matteuzzi, la donna uccisa martedì scorso a martellate dal suo ex prima di rientrare in casa a Bologna. Ieri il gip di Bologna Andrea Salvatore Romito ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere per Giovanni Padovani, il calciatore e modello, che si è presentato in udienza accompagnato dal suo legale, Enrico Buono. Di fronte alle richieste di chiarimento del gip, ha preferito restare in silenzio e avvalersi della facoltà di non rispondere. Per lui il pm Domenico Ambrosino, titolare delle indagini, ha ipotizzato i reati di omicidio aggravato dallo stalking. Padovani si è presentato in Tribunale in tenuta sportiva e con il volto tirato. Ad attenderlo fuori dall’aula c’era anche la madre. Dettagli utili alle indagini emergeranno anche dall’autopsia, eseguita nel pomeriggio di ieri sul corpo della 56enne.

L’avvocata Bartolini per un triste gioco del destino, fa parte dell’associazione modenese “Donne e giustizia” che si occupa proprio di fornire assistenza alle donne in condizioni di disagio familiare e personale. «Mia cugina non mi aveva avvertito della decisione di voler denunciare il suo ex. Si era rivolta ad un altro legale, forse perché si sentiva in imbarazzo per questa storia», precisa l’avvocata Bartolini. Alessandra Matteuzzi, dopo essersi consultata con il suo legale, lo scorso 29 luglio si era recata presso il comando dei carabinieri per formalizzare la denuncia contro Giovanni Padovani. Dopo la denuncia era scattato il Codice rosso ed il primo agosto la donna era stata risentita dai militari dell’Arma. Alessandra, in particolare, aveva raccontato le terribili persecuzioni subita da Padovani: una infinità di telefonate, messaggi, appostamenti, danneggiamenti, come lo zucchero versato nel serbatoio dell’auto. I carabinieri avevano quindi ascoltato parenti ed amici. Prima di Ferragosto, poi, Alessandra era tornata nuovamente dai carabinieri e questa settimana era previsto che dovesse integrare la denuncia.

I vicini di casa e gli amici più stretti erano tutti a conoscenza della situazione. Una vicina, ad esempio, aveva sorpreso nelle scorse settimane Padovani lungo le scale e gli aveva intimato di allontanarsi.

Per capire come sia stato possibile che in tre settimane non sia però stato emesso alcun provvedimento restrittivo nei confronti di Padovani, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori.

Il procuratore di Bologna, Gimmi Amato, in una serie di interviste, ha affermato che la querela della donna “evocava un tema di molestie più che di violenze” e che prima di emettere un provvedimento restrittivo serviva acquisire altri elementi ed erano in corso accertamenti, ad esempio sentire delle persone che però in questi giorni erano “in ferie”.

Una affermazione che ha provocato la reazione stizzita da parte di chi conosceva Alessandra. «La Procura di Bologna poteva delegare i carabinieri del luogo dove costoro si trovavano in vacanza, senza perdere giorni preziosi”, ha affermato un amico di Alessandra.

«Siamo sconcertate dalle dichiarazioni del procuratore Amato: il terribile femminicidio accaduto è la palese rappresentazione che il sistema giudiziario non è ancora in grado di proteggere le soggettività femminili dalla violenza di genere», ha commentato la consigliera comunale bolognese Simona Larghetti. «Amato dovrebbe chiedere scusa a nome del sistema che rappresenta anziché affannarsi a dire che è stato fatto tutto il possibile, ammettendo, di fatto, che una donna che denuncia comunque non può essere al sicuro dal suo persecutore. Chi sta nelle istituzioni deve continuare a interrogarsi sul da farsi anziché autoassolversi», ha quindi aggiunto la consigliera.

Il sindaco di Bologna, comunque, ha già fatto sapere che il Comune si costituirà parte civile nel processo.

«Serve garantire la scorta, come si fa ai pentiti di mafia, alle donne che denunciano», ha dichiarato invece Gessica Notaro, sfregiata con l’acido nel 2017 dal suo ex.

«Comunque anche lei come andava conciata, ovvio che il ragazzo era geloso», il commento totalmente fuori luogo, prima di fare marcia indietro, di Donatello Alberti, dg della Croce Bianca Emilia Romagna.

«Mia cugina era una donna seria. Aveva avuto poche storie e si era sempre dedicata ai suoi anziani genitori. Se aveva postato delle foto con abiti particolari era solo per motivi di lavoro», la replica dell’avvocata Bartolini.