Un grande classico: Berlusconi contro l’Anm. Come vent’anni fa, all’epoca delle inchieste sul Cav, e più tardi con la riforma Castelli. È il primo vero scontro sulla giustizia della campagna elettorale. Un po’ retrò è anche l’oggetto della polemica: l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, obiettivo inseguito già da Gaetano Pecorella con la sua riforma del 2006 e censurato pochi mesi dopo dalla Consulta. Ora questo antico mantra garantista è il cuore della piattaforma di Forza Italia sulla materia penale, e Berlusconi ne parla nella videopillola sul programma diffusa stamattina: «Quando governeremo noi, le sentenze di assoluzione, di primo o di secondo grado, non saranno appellabili. Un cittadino - una volta riconosciuto innocente - ha diritto di non essere perseguitato per sempre. Anche perché perseguitare gli innocenti significa lasciare i veri colpevoli in libertà». «Cominciamo a parlare di giustizia», spiega l'ex premier, «in Italia, ogni anno migliaia di persone vengono arrestate e processate pur essendo innocenti. Il processo è già una pena, che colpisce l’imputato, ma anche la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro. Per questo», dice i leader di FI, «non deve trascinarsi all’infinito, in appelli e controappelli». Conclusione per gli elettori: «Se sei d’accordo, se anche tu pensi che la presunzione di innocenza sia alla base della nostra civiltà giuridica, il 25 settembre devi andare a votare e devi votare Forza Italia». È una sfida a cui per ore nessun altro partito risponde. Fulminea è invece la replica dell’Associazione nazionale magistrati, e in particolare del presidente Giuseppe Santalucia: «La questione era stata affrontata dal legislatore nel 2006 con la legge Pecorella e la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge», tiene a ricordare. «Ci sono principi costituzionali che devono essere rispettati. Il tema può essere discusso ma non rappresentato nei termini che ho letto, ossia che migliaia di persone siano ingiustamente sotto processo. Questo non rende giustizia al difficile lavoro dei Tribunali e delle Corti nell’accertamento della verità dei fatti». Scambio che ha venature politiche ma anche culturali. Perché la proposta di Berlusconi non è solo radicata nella storia degli azzurri, in quel tentativo di Pecorella (la legge 46 del 2006) che la Consulta finì per sopprimere (con le sentenze 26 del 2007 e 85 del 2008). Dietro c’è il nodo cruciale del ragionevole dubbio: si può giudicare nel merito, una seconda volta, qualcuno che un primo giudice ha ritenuto innocente, e sulla cui colpevolezza dunque può sussistere quanto meno il ragionevole dubbio? E c’è lo scontro fra sicurezza sociale e diritti dell’individuo, concezione liberale del processo, cara all’Unione Camere penali, e centralità della repressione. D’altra parte l’incognita agitata da Santalucia è reale: stavolta la legge reggerebbe al vaglio della Consulta? L’Anm dice no anche se «il tema può essere discusso». Santalucia è un giurista aperto e anche questa sfumatura lo conferma. Inoltre, la riforma Cartabia ha già modificato alcuni aspetti della materia: la disciplina delle impugnazioni prevede ora – o almeno lo prevede lo schema di decreto attuativo , che ancora non è stato emanato in via definitiva – l’inappellabilità delle condanne quando la pena consiste in lavori di pubblica utilità, e sancisce come non appellabili anche le sentenze di proscioglimento o non luogo a procedere per reati puniti con pena pecuniaria o alternativa. Non è tutto, perché introduce (ed è forse il punto decisivo) un limite particolare per il solo imputato: l’inammissibilità dell’appello per “aspecificità” dei motivi. Ne ha parlato ieri, in una ampia ed efficace intervista al Dubbio, Gian Luigi Gatta, consigliere della ministra Cartabia per le libere professioni e tra i maggiori artefici materiali della riforma penale. A voler scavare ancora più a fondo nella prospettiva indicata da Berlusconi, prima ancora che via Arenula mettesse nero su bianco l’articolato (della legge delega prima e ora del decreto attuativo), era stata la commissione di esperti individuata dalla guardasigilli a ricordare la «diversa quotazione costituzionale del potere di impugnazione delle due parti del processo penale: privo di autonoma copertura nell’articolo 112 Cost. – e, dunque, più “malleabile” – quello della parte pubblica; intimamente collegato, invece, all’articolo 24 Cost. – e, dunque, meno disponibile a interventi limitativi – quello dell’imputato». Così si legge nella relazione che Giorgio Lattanzi, presidente di quella commissione ministeriale, ha consegnato a Cartabia nella primavera 2021. Lattanzi è presidente emerito della Consulta, e si è posto dunque il problema della costituzionalità di una riforma dell’appello. Così nella sua relazione si legge ancora che l’inappellabilità dei proscioglimenti «si configura come compatibile con il quadro costituzionale». A due condizioni: di introdurre gli argini ai ricorsi di cui ha detto Gatta al Dubbio, e di prevedere una compensazione (fra difesa e accusa) ancora più forte, il “l’appello a critica vincolata”, che è invece rimasto fuori dall’impianto riformatore. Si tratta di capire se questa discrepanza basterebbe a indurre un nuovo “arresto” della Corte costituzionale. Non si può dare per scontato, insomma, che la previsione negativa dell’Anm sia corretta, ma un’alea resta. D’altra parte, sulla giustizia, Forza Italia si muove ad ampio raggio. Oltre ala separazione delle carriere, rilanciata sia da Berlusconi che da Deborah Bergamini, ipotizza fra l’altro il diritto alla “buona fama”. Ne ha scritto il Fatto quotidiano di oggi, in chiave critica. Si tratta di una riforma studiata da Francesco Paolo Sisto insieme con Giulia Bongiorno (e infatti ve n’è traccia pure nel programma della Lega). Prevederebbe limiti alla diffusione delle intercettazioni ma anche l’obbligo di deindicizzare dal web le notizie relative a un’iniziale condanna se la persona è successivamente assolta. Sono ipotesi che andranno discusse con Fratelli d’Italia, apparsa, negli ultimi tempi, meno riottosa alle soluzioni garantiste di quanto fosse sembrato con i no ad alcuni referendum: sul Dubbio di ieri si è dato conto della disponibilità del partito di Giorgia Meloni a un ripristino della “vecchia” prescrizione. A conti fatti va riconosciuto che sulla giustizia il centrodestra è decisamente a uno stadio avanzato dei lavori. Si può dire qualcosa del genere forse per il terzo polo di Calenda e Renzi ma, al momento, non per il Pd e il rassemblement progressista, più orientato a preservare i risultati della riforma Cartabia. Si vedrà. Ma certo, rivedere il Cav che sferraglia sulla giustizia con l’Anm, a lustri di distanza dagli scontri dei primi anni Duemila, dà una curiosa sensazione di vertigini.