di Irene Testa

Diego Olivieri, imprenditore con settant’anni di storia, viene improvvisamente arrestato con l’accusa di far parte di un’associazione dedita al traffico internazionale di droga. Trascorre dodici mesi in cella al regime del 41 bis in attesa di giudizio e resta nella sezione di massima sicurezza con gli ergastolani. Dopo 5 anni è assolto con formula piena in tre diversi processi “perché il fatto non sussiste”.

Diego raccontami come ti sei ritrovato al centro di questo clamoroso errore giudiziario.

Vivo ad Arzignano, in provincia di Vicenza, terra di concerie in cui produciamo pelli. La nostra ditta è stata fondata da mio nonno nel 1946, in 70 anni di attività non ho mai mancato il pagamento di una ricevuta bancaria. Il nostro lavoro è quello di procurare pelli dall’estero per le concerie e per questo ci muoviamo spesso in Sud Africa, in Paraguay, in India. Questa storia è nata in Canada, dove io avevo un cliente di Monza che si riforniva settimanalmente di contenitori di pelli. Una notte hanno suonato al campanello e la mia vita è cambiata. Erano i Servizi Segreti che mi dicevano di andare con loro per una questione che mi riguardava. Mai avrei pensato che sarei finito in carcere. Mi viene detto che c’era una ordinanza che mi riguarda e mi viene messo sotto il naso un faldone di 160 pagine dove non si capiva nulla. Mi dicono di chiamare il mio avvocato, ma io avevo solo un avvocato per il recupero crediti, non avevo mai avuto avvocati penalisti.

Dico di voler parlare immediatamente con questo Gip o Pm che ha firmato l’arresto perché voglio chiarire questa situazione. Insomma mi portano in carcere di massima sicurezza. E lì vedo in televisione l’arresto di 19 imprenditori tra cui il sottoscritto.

Le accuse dei miei inquirenti erano: associazione mafiosa, concorso esterno, riciclaggio di 600 milioni di dollari al tempo 700 miliardi di lire, traffico internazionale di droga in grandi quantità, e non poteva mancare insider trading. Un ergastolano che era in cella con me dice: “guarda che sei tu quello lì”. Dopo 5 giorni mi portano a Rebibbia perché volevo parlare con il Pm. Non l’avessi mai fatto. Me lo avevano sconsigliato tutti per non peggiorare la situazione. Io ero molto convinto della mia innocenza, della mia estraneità ai fatti. Vi racconto come mi hanno preparato all’interrogatorio.

Mi hanno portato in città, mi hanno fatto scendere ammanettato come il peggiore dei criminali e mi sono ritrovato nel centro di Roma di sabato mattina alle 10. Erano in 6 gli agenti armati di mitra che mi hanno fatto salire sul marciapiedi dicendo “Olivieri non faccia scherzi”, e il drappello in fila indiana si è diretto verso l’ufficio del Pm che distava circa 10 minuti. Questo perché? Per distruggere la psiche, vi posso assicurare che una situazione del genere non pensavo potesse esistere. La gente fuggiva alla mia vista.

Com’è stato l’impatto con il carcere?

È una cosa difficile da spiegare. La perquisizione che fanno all’entrata non ha nulla di umano. Ti spogliano nudo, ti fanno salire su una pila di bancali, ti fanno fare le flessioni per vedere se hai qualcosa nel corpo, ti mettono le dita dappertutto.

Molti non ne parlano, hai fatto bene a parlare di questo ingresso al carcere che è traumatico per molti.

Mi hanno spogliato di tutto. Mi hanno dato uno spazzolino, due forchette di legno, un sacco con dentro un cuscino, una coperta e due lenzuola. Mi hanno tolto la cintura, i lacci delle scarpe, non mi stavano su i pantaloni.

La cella era occupata da un ergastolano che mi ha insegnato subito come funziona un carcere di massima sicurezza. Mi spiega che se voglio essere rispettato devo dire che ho riciclato i 600 milioni di dollari. Infatti, nel carcere ero diventato l’uomo dei 600 milioni di dollari. Il giorno dopo il mio arresto, cosa molto importante di cui parlano in pochi, era già in edicola sul Corriere della Sera un articolo su di me. Questo significa che la Procura aveva comunicato al giornalista quello che avrebbe dovuto scrivere. Io non avevo ancora l’avvocato. Quello che avevo era un avvocato d’ufficio che non avevo mai visto.

Sono stato un anno in custodia cautelare. Poi è iniziato il processo e mi hanno dato 436 giorni di libertà vigilata. Di processi ce ne sono stati 3, assieme al processo mediatico dei giornali. È stata emessa una rogatoria internazionale su questo intrigo, perché coinvolgeva la Svizzera, il Canada, la Francia: “intrigo internazionale sventato dalla Dia” dicevano le testate.

Ho subito delle vere e proprie torture psicologiche, dicevano che ero omertoso, perché nell’incontro con il Pm io non confermavo le loro accuse. Al termine dei 12 mesi di indagini preliminari mi hanno tolto il concorso esterno mettendomi direttamente come esponente mafioso poiché non avevo collaborato.

Il processo di primo grado come è andato?

Le accuse erano infondate. I miei avvocati hanno distrutto gli inquirenti. Infatti, il processo si è fermato al primo grado. Siamo stati assolti tutti e 19. Però è successo che nove di loro hanno subito un grosso fallimento, perché quando si viene sputtanati nei giornali, questo è il termine, la banca si mette in moto e se hai un contenzioso aperto, anche piccolo, loro ti dicono di sanarlo dopo uno o due mesi e se non lo fai chiudono il conto, sei con le spalle al muro.

A me hanno messo il commissario in azienda che dava gli stipendi ai dipendenti e ai miei figli che lavorano nell’azienda. Per fortuna mio figlio è stato bravissimo, ha tenuto in piedi l’attività, ha dato prova di grande valore, altrimenti avrei perso tutto anche io, come tutti. Poi, come se non bastasse, mi hanno controllato 13 anni, non 10 come prescrive la legge, ma ben 13, dai mille euro in su. Hanno controllato tutto, sequestrato anche i beni dei miei figli, le auto. Mi hanno sequestrato tutto.

Ho vissuto per sei anni senza poter accedere ai miei conti poiché erano stati sequestrati. Ci sono voluti altri cinque anni, non è finita da molto la storia, ma nessuno di noi è stato risarcito.

Hai fatto ricorso alla Corte europea per il risarcimento?

Sì, e si parla di otto anni di attesa, tempi lunghi. Bisogna cambiare questo sistema, penso che il referendum sia d’obbligo, bisogna iniziare con la separazione delle carriere, non si può arrestare una persona se non c’è un reato.

Tu ti sei impegnato per avere una riabilitazione, hai raccontato spesso la tua storia.

Certo, ci tenevo più del risarcimento e più di ogni altra cosa: la dignità e l’onore sono al primo posto per un imprenditore e per la mia persona. I giornali, che sono i primi accusatori, avrebbero potuto fare un articolo sulla nostra assoluzione, ma ricordo che quando siamo usciti dal Tribunale di Roma il mio avvocato ha chiamato il redattore del Corriere della Sera, spiegando che ero stato assolto, ma la risposta fu che la questione avrebbe interessato poco.

Tu hai avuto anche la fortuna in qualche modo di poter mandare avanti il tuo processo.

Certo, chi non ha i soldi resta dentro perché le spese da sostenere sono tante. I miei figli avevano trovato degli avvocati di un certo spessore. Se non avessi avuto la mia famiglia sicuramente non ce l’avrei fatta. Ho vissuto per sei anni senza soldi, ho vissuto con i prestiti dei miei amici, mia moglie mi tagliava i capelli e facevo girare i colli delle camicie dai cinesi, cosa che per me non è mai esistita. È necessario dare un sussidio, altrimenti non si può sopravvivere.