“TAnto durano poco”. “Possono anche vincere le elezioni, poi però devono riuscire a stare insieme”. “Si spaccheranno e si tornerà a una qualche forma di larghe intese”. “Facile che resti Draghi e se non lui sarà uno simile a lui”. Frasi del genere, nella cerchia dei politici e dei commentatori, circolano da giorni, non c'è chi non le abbia sentite ripetere un centinaio di volte almeno. In parte ciò spiega una tensione minore del previsto, a fronte di un possibile sfondamento completo del fronte da parte della destra.

E' probabile che questa convinzione diffusa sia frutto dell'esperienza in realtà difficilmente ripetibile della legislatura morente, e che proprio per questo sia fuorviante. Le possibilità che si ripetano i giri di giostra vertiginosi degli ultimi quattro anni sono esigue, forse inesistenti. La questione è numerica, non solo politica. Per definizione il quadro che lascia più ampio margine di gioco agli schemi imprevisti, alle alleanze trasversali, alle larghe intese è quello segnato dall'incertezza. Bisogna che non ci sia un vincitore netto, o che la vittoria sia tanto di misura da non garantire governabilità. E' stato così nel 2013 e di nuovo, in forme amplificate, nel 2018. Non è affatto detto e al contrario è improbabile che sia così stavolta.

Il disegno della partita chiusa senza vincitori è stato senza dubbio perseguito a lungo da Letta. La formula alla quale è arrivato dopo aver visto di colpo franare la strategia fondata sull'alleanza con i 5S, costruita nel corso di tre anni e crollata in poche ore, risponde a questo obiettivo: l' ' alleanza elettorale' per definizione non si propone di vincere ma di non far vincere i rivali, sottraendogli quanti più collegi possibile nel maggioritario. In sé è una strategia credibile. Senza un vero vincitore, staccare Forza Italia e forse anche la Lega da FdI per resuscitare la maggioranza d Draghi o comunque un'altra maggioranza da unità ( o semi-unità) nazionale sarebbe in effetti obiettivo a portata di mano. Ma per riuscirci sarebbe obbligatorio imboccare la strada che percorre a anni la Francia per fermare Marine Le-Pen, quella del Fronte repubblicano. Il problema dell'Italia è che un fronte repubblicano che tiene fuori il partito di gran lunga più forte dopo il Pd, cioè il M5S, è da questo punto di vista un controsenso. Se poi dovesse sfilarsi "dall'alleanza elettorale" anche Calenda, la rotta sarebbe garantita.

Letta ha deciso di non seguire quella strada. Ufficialmente solo perché non ci si può alleare con chi ha fatto cadere Draghi, giustificazione sensata nel caso di una coalizione politica ma non di una alleanza elettorale della quale infatti fa parte anche chi la fiducia a Draghi non la ha mai concessa. Probabilmente soprattutto perché nella situazione di guerra non dichiarata nella quale ci troviamo, i 5 contrari all'invio delle armi all'Ucraina sono stati individuati, a ragione o più probabilmente a torto, come la sponda italiana di Putin dunque come un partito appestato intorno al quale erigere un cordone sanitario invalicabile. Messe così le cose, però, l'obiettivo di contenere la vittoria della destra somiglia molto a un miraggio.

Perché un fronte si spacchi, poi, è quasi necessario che al suo interno ci sia un certo equilibrio di forze. Il risultato che si profila, quello cioè di una preminenza molto netta di FdI, rende impossibile mettere in dubbio alcune sue prerogative, in particolare l'indicazione del premier e portare lo scontro sino alle estreme conseguenze. Insomma, tutto può succedere ma la situazione della vigilia non autorizza affatto a scommettere sul finale di partita ambiguo e sulla conseguente possibilità di ricorrere a qualche più o meno larga intesa.

E' vero che, pur sconfitto come alleanza, il Pd potrebbe essere incoronato dalle urne primo partito, il che renderebbe il quadro meno limpido. Senza la possibilità di costruire una maggioranza alternativa a quella della destra, però, è probabile che Letta spenda quel risultato per avviare un dialogo con la controparte a destra, cioè con il partito più forte della maggioranza, sulla cornice istituzionale più che sul quadro politico. Meloni e Letta potrebbero avere, insieme e da soli, la forza necessaria per imporre una legge elettorale e per garantire insieme la posizione dell'Italia nel quadro internazionale. Forse andrà così e forse le cose prenderanno una piega diversa. Ma scommettere sul fatto che vadano come in questa ultima legislatura sarebbe, e per qualcuno è, molto imprudente.