Un signore va a comprare un vestito blu e gli viene recapitato un vestito nero, proprio nel giorno della morte di suo fratello. Una signora sogna una volpe e il giorno successivo ne incontra una per strada. Durante un litigio tra Freud e Jung circa le loro diverse teorie psicoanalitiche, avvengono due grandi schianti nella libreria della camera in cui si trovano. Sono tre fra gli esempi con cui Jung spiegava la “sincronicità”, quel legame fra due eventi che sono connessi fra loro ma senza alcun rapporto causale, senza cioè che l’uno influisca materialmente sull’altro. Se Jung fosse nostro contemporaneo e avesse voluto scrivere un libro di racconti per illustrare letterariamente questa magica forma di relazione fra le persone e l’ambiente in cui sono immerse, sarebbe forse lui l’autore dei nove racconti che compongono “Chiromantica medica”. Che invece è opera di un altro giovane psichiatra, Alessio Mosca, al suo esordio grazie alla casa editrice Nottetempo. Un fascistello di Spinaceto che passa le giornate in banda a bestemmiare, guardare culi e corcare di botte froci e barboni improvvisamente inizia a fare miracoli. Un naufrago di un peschereccio fantasma viene raccolto in un villaggio di vecchi pescatori di balene e notte dopo notte riceve la visita di una fanciulla che gli si sfrega addosso fino a sfarne il corpo, a sfaldarne le ossa, a inghiottirlo nel lamento dell’oceano. Un ragazzo vede crollare tutte le bestie della stalla dentro una pozza di melma perlacea, masticata, sbavata, impastata e scappa via dalle sue colpe: «Quale creatura è mai nata senza concepimento, quale bestia può dirsi figlia di nessun dio, incontemplata nel suo sguardo, nei suoi piani onniscienti, nel suo amore infinito? Nessuna, neppure quest’uomo che attraversa i campi di una terra lurida e puzzolente concimata con tappi di latta e vetri di bottiglia, gonfia di sputi e profilattici di contadini, dove rimasugli di fili elettrici la smuovono come vermi, cavi di telecamere di guardoni che spiano le proprie figlie infrattate alle soglie dei boschi e che lo succhiano in auto a giovani coatti di Latina, Cisterna, Nettuno e che mentre ingoiano sognano di vincere Miss Agro Pontino». E, ancora, un dottore inconsolabile che insegue una sua paziente lungo tutta la Tuscia imparando a orientarsi sulle mappe che questa ottiene interpretando le proprie ecchimosi. I libri sugli scaffali dell’Ikea di Porta di Roma che suggeriscono a un trentenne impotente bizzarre sintonie con divinità politeiste e lo conducono a svelare un colpo di stato ordito da terroristi che intendono sottomettersi, arrendersi e lasciarsi cullare dalle donne. E cronisti di nera, cartomanti, il dio Pan, Rocco Siffredi, investigatori, assassini, ragazzine prostitute, ermafroditi, galleristi, borgatari, pastori, Wanna Marchi, culi indimenticabili e veneri trans. Un intero pantheon di personaggi che fuoriescono come miti fratturati dalla provincia italiana. A governarne le azioni una logica che è analitica ma demoniaca. Le sincronie fra gli avvenimenti raccontati sono da ricercarsi con gli strumenti della divinazione più che con quelli della ragione, eppure si accumulano in modo così stringente da costringere il lettore a cedervi, con buona pace della verosimiglianza. Nessun evento negli intrecci ne causa direttamente un altro, ma tutto ciò che capita si tiene insieme in una magheria complessiva che genera un mondo appena un passo allucinato rispetto all’ordinario. E perciò tanto più credibile. Di rifrazione in rifrazione, Alessio Mosca sottopone la realtà a una revisione abissale. E con il procedere dei racconti si intuisce anche il meccanismo che ne regola l’ordine in raccolta. Il ruolo di straniamento che nei primi racconti è riservato alle ritualità profane viene insensibilmente sostituito dagli arcani del diritto, i cerimoniali profetici delle arti occulte si trasfigurano negli enigmi della legge. Ma è una legge che confonde e sporca. Fino a quando la trasformazione dell’investigazione in chiromanzia è dichiarata apertamente. In “I commissari e i loro boschi” un investigatore, Ortese, indaga sull’omicidio di una betulla: “Ortese danzava piano stando attendo a non urtare i cartelli numerati che segnavano la presenza delle prove. I commissari hanno il piede del funambolo per camminare negli spazi liberi tra impronte e cadaveri, i loro occhi sono quelli del cartomante che leggono il passato in una sequenza di indizi e predicono il futuro nel susseguirsi dei tarocchi. Notò qualcosa, si piegò, scostò una zolla e raccolse con delle pinzette una fogliolina umida marchiata dall’ombra nera della ticchiolatura.– È malata. – disse.– Come le altre”. Anche la natura in cui Mosca immerge i suoi personaggi scompiglia più che descrivere, ottunde più che delucidare, macera più che schiudere. È, appunto, malata. Ma perché in questi racconti succede quel che succede? Dettagli e descrizioni dei personaggi sono costruiti in una lingua colloquiale e sguaiata ma accurata, eppure si ha la sensazione che i protagonisti rimangano privi di motivazione. Agiscono mossi da non si sa cosa e spariscono dalla scena del racconto quando viene svelata l’unica cosa che al lettore è dato conoscere: la loro colpa. Il passare del tempo è manovrato a partire da questa sola leva e origine: la colpa. Che, pur senza chiarire del tutto le ragioni dei tanti miracoli cui si assiste in “Chiromantica medica”, è capace di inchiodare tanto i personaggi allo strapotere della sincronicità cui Mosca li piega, quanto i lettori alla raccolta. Il senso di fine ineluttabile della giustizia e della razionalità che questo libro porta con sé forse deve qualcosa più ai “Racconti romani” di Moravia che ai debiti dichiarati con il Napolitano di “Tam Tam Mayumbe”. E, a voler ingegnarsi in sintonie traballanti anche noi, quelle stesse iniziali - AM che l’autore di “Chiromantica medica” e Moravia condividono possono suggerire anche al più giovane letterato di scegliere la forma lunga per la sua prossima fatica. “La verità, vi prego, su Tik Tok”, che chiude la raccolta e anche questa recensione, forse lo merita.