Insulti a Brunetta: la sinistra si indigna ma il copyright è suo
Sono quasi vent’anni che Renato Brunetta è il bersaglio di ironia puerile, e in pochissimi tra i suoi vecchi “nemici” che ora si indignano hanno alzato il dito per difenderlo
Ma davvero a sinistra sono indignati per gli insulti rivolti a Renato Brunetta dalla sconosciuta deputata forzista Marta Fascina, attuale compagna di Silvio Berlusconi che lo ha paragonato a un nano? Con quale coraggio scendono in campo a difendere il ministro dal bodyshaming, arricciando il naso da marchesine e con sdegno neofita? Viene da chiedersi dov’erano quando lo stesso Brunetta veniva offeso quotidianamente dagli avversari politici, dai media progressisti, dai soliti satiri frustrati. Semplice: molti di loro stavano dall’altra parte della barricata, a coniare epiteti e lepidezze, a battersi il cinque a ogni battuta sulla statura del politico ormai ex Forza Italia.
«Energumeno tascabile» (copyright Massimo D’alema), «mini-ministro» (Furio Colombo), «una seggiola» (Dario Fo), «sua altezza» (Marco Travaglio) e via discorrendo. Sono quasi vent’anni che Renato Brunetta è il bersaglio di una ironia puerile e vigliacca e in pochissimi tra i suoi vecchi “nemici” hanno alzato il dito per difenderlo. Il leale sostegno a Mario Draghi e la sua uscita da Fi per entrare nell’orbita del centrosinistra ha però cambiato tutto. L’oggetto degli antichi sberleffi diventa magicamente una povera vittima, un alleato a cui offrire solidarietà, addirittura un «gigante» (sic). Quasi una rimozione freudiana se non fosse che l’improvvisa redenzione brunettiana è solo il frutto di un opportunismo fazioso. Sullo sfondo rimane il gusto staliniano della denigrazione (durante le grandi purghe degli anni 30 Kamenev e Zinov’ev erano raffigurati come maiali dalla stampa di regime). Che per decenni e sempre a causa della sua piccola statura, ha colpito proprio Silvio Berlusconi, con tutti i nomignoli del caso, lo «psiconano» (Beppe Grillo), «Al Tappone» (sempre Marco Travaglio, campione del mondo di insulto libero), e poi le freddure sulle scarpe rialzate, sule pedane, insomma tutto il campionario da Bagaglino della politica.
Sembra superfluo aggiungerlo ma anche Giorgia Meloni è stata ed è oggetto costante di bodyshaming, specie sui social dove imperversano meme che la paragonano a balene, squali, gorilla. Più fortunata Mara Carfagna che dopo alcune stagioni di terrificanti attacchi sessisti è stata riabilitata (come Brunetta) e oggi gode di grande stima tra gli avversari. L’elenco in realtà sarebbe lunghissimo, da Amintore Fanfani “nano maledetto”, al “gobbo” Giulio Andreotti, al «ciccione», al Giuliano Ferrara (la corpulenza come bassezza espansa e viziosamente rovesciata), agli “occhi storti” di Maurizio Gasparri. Stranamente, a destra non avviene lo stesso fenomeno. A parte qualche cafonata berlusconiana nei confronti di Rosi Bindi e qualche battuta di dubbio gusto buttata a caso non c’è traccia del sistematico bodyshaming con cui la sinistra alimenta la sua propaganda. Dalla superiorità antropologica a quella della razza il passo è breve.
Insulti a Brunetta: la sinistra si indigna ma il copyright è suo
Ma davvero a sinistra sono indignati per gli insulti rivolti a Renato Brunetta dalla sconosciuta deputata forzista Marta Fascina, attuale compagna di Silvio Berlusconi che lo ha paragonato a un nano? Con quale coraggio scendono in campo a difendere il ministro dal bodyshaming, arricciando il naso da marchesine e con sdegno neofita? Viene da chiedersi dov’erano quando lo stesso Brunetta veniva offeso quotidianamente dagli avversari politici, dai media progressisti, dai soliti satiri frustrati. Semplice: molti di loro stavano dall’altra parte della barricata, a coniare epiteti e lepidezze, a battersi il cinque a ogni battuta sulla statura del politico ormai ex Forza Italia.
«Energumeno tascabile» (copyright Massimo D’alema), «mini-ministro» (Furio Colombo), «una seggiola» (Dario Fo), «sua altezza» (Marco Travaglio) e via discorrendo. Sono quasi vent’anni che Renato Brunetta è il bersaglio di una ironia puerile e vigliacca e in pochissimi tra i suoi vecchi “nemici” hanno alzato il dito per difenderlo. Il leale sostegno a Mario Draghi e la sua uscita da Fi per entrare nell’orbita del centrosinistra ha però cambiato tutto. L’oggetto degli antichi sberleffi diventa magicamente una povera vittima, un alleato a cui offrire solidarietà, addirittura un «gigante» (sic). Quasi una rimozione freudiana se non fosse che l’improvvisa redenzione brunettiana è solo il frutto di un opportunismo fazioso. Sullo sfondo rimane il gusto staliniano della denigrazione (durante le grandi purghe degli anni 30 Kamenev e Zinov’ev erano raffigurati come maiali dalla stampa di regime). Che per decenni e sempre a causa della sua piccola statura, ha colpito proprio Silvio Berlusconi, con tutti i nomignoli del caso, lo «psiconano» (Beppe Grillo), «Al Tappone» (sempre Marco Travaglio, campione del mondo di insulto libero), e poi le freddure sulle scarpe rialzate, sule pedane, insomma tutto il campionario da Bagaglino della politica.
Sembra superfluo aggiungerlo ma anche Giorgia Meloni è stata ed è oggetto costante di bodyshaming, specie sui social dove imperversano meme che la paragonano a balene, squali, gorilla. Più fortunata Mara Carfagna che dopo alcune stagioni di terrificanti attacchi sessisti è stata riabilitata (come Brunetta) e oggi gode di grande stima tra gli avversari. L’elenco in realtà sarebbe lunghissimo, da Amintore Fanfani “nano maledetto”, al “gobbo” Giulio Andreotti, al «ciccione», al Giuliano Ferrara (la corpulenza come bassezza espansa e viziosamente rovesciata), agli “occhi storti” di Maurizio Gasparri. Stranamente, a destra non avviene lo stesso fenomeno. A parte qualche cafonata berlusconiana nei confronti di Rosi Bindi e qualche battuta di dubbio gusto buttata a caso non c’è traccia del sistematico bodyshaming con cui la sinistra alimenta la sua propaganda. Dalla superiorità antropologica a quella della razza il passo è breve.
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