di Gianluca Gambogi*

La legge n. 134/ 21 contiene la delega al Governo per l’efficacia del processo penale nonché per l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa. Si tratta, più precisamente, di una delega che consentirà l’introduzione, nel rispetto delle disposizioni della Direttiva 2012/ 29/ UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25/ 10/ 2012, di principi e criteri direttivi. La Direttiva è già stata attuata nel nostro ordinamento con interventi mirati nel 2017 e nel 2019, ma si ha la sensazione che le nuove norme saranno molto più significative.

I principi che governeranno la giustizia riparativa possono brevemente riassumersi (ma non esaustivamente) come segue: - i programmi dovranno essere svolti e valutati circa gli esiti nell’interesse della vittima e dell’autore del reato; - la vittima non è soltanto la persona fisica che ha subito il danno, anche fisico, mentale o emotivo oppure la perdita economica, ma anche il familiare della persona la cui morte è stata causata da un reato ed anche la persona che convive con la vittima in una relazione intima nello stesso nucleo familiare; - il programma di giustizia riparativa potrà avvenire in ogni stato e grado del procedimento penale ed anche in fase di esecuzione pena; - la partecipazione è ovviamente libera e l’esito favorevole potrà essere valutato nel procedimento penale o anche in fase di esecuzione.

La libera scelta di accedere alla giustizia riparativa non è sufficiente a superare alcune criticità che andranno affrontate con grande attenzione. La nuova giustizia riparativa, come noto, suscita perplessità tra i penalisti, per molteplici motivi ed anche con riferimento ai possibili effetti negativi correlati alle distorsioni della giustizia mediatica che, ovviamente, incide, non poco, sul processo penale.

Un autorevole studioso, non a caso, parla espressamente, nell’ambito di una riflessione molto articolata sul rapporto tra media e processo, di una attenzione vittimocentrica dei media che si riflette sul processo penale ( si veda, sul punto, la bellissima riflessione di V. Manes, Giustizia mediatica).

Non v’è dubbio che siano in gioco valori importantissimi connessi alle garanzie ed è quindi auspicabile che l’intervento, che senz’altro arriverà, sia il più attento possibile a tutti gli interessi in gioco, come in effetti la legge delega sottolinea proprio con riferimento a imputato e vittima. D’altra parte come negare che talvolta più che la pena vera e propria ferisce e punisce quanto avviene in precedenza.

L’attenzione alla vittima, quindi, deve sempre coniugarsi alla presunzione di innocenza, al contraddittorio tra le parti, ai valori del giusto processo e, ovviamente, all’imparzialità del giudice e del mediatore penale di cui diremo. Vi è infatti un ulteriore aspetto sul quale i penalisti dovranno probabilmente riflettere attentamente: la legge delega prevede la formazione di mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa che terranno conto delle esigenze delle vittime del reato e anche degli autori del reato e della capacità di gestione del conflitto nonché del possesso di conoscenze basilari del sistema penale.

La deduzione è semplice: chi meglio di un avvocato penalista potrà svolgere le funzioni di mediatore penale? Difficile trovare una figura professionale con competenze superiori e pertanto è auspicabile che l’avvocatura cominci seriamente (e lo sta facendo già) a riflettere su questa attività futura del penalista al fine di prepararlo adeguatamente.

Il difensore, quindi, onorerà la toga assistendo il proprio assistito nei processi che lo vedranno protagonista e potrà onorarla, se accetterà di fare il mediatore, anche in tale nuovo ruolo. In quest’ultimo dovrà garantire le scelte più opportune a soggetti (vittima e imputato) rispetto ai quali non avrà mai avuto un coinvolgimento professionale di nessun tipo e di nessun genere, e ciò per garantire la sua imparzialità al fine di consentir loro l’individuazione di programmi che consentiranno di sanare la frattura provocata dall’evento.

Si tratta di un’opportunità o, più propriamente, di una necessità dell’avvocato del futuro? Difficile rispondere: forse si tratta di una necessità caratterizzata da un impegno professionale al quale sarà difficile sottrarsi non foss’altro perché è impensabile disperdere il patrimonio di cultura giuridica, di attaccamento ai valori del giusto processo e di tutto ciò che questa espressione contiene, ovverosia di tutti i valori propri del penalista. Davvero impensabile farne a meno! (*Ordinario di Diritto penale presso l’Università Diritto internazionale Milano)