La candidatura al Csm? Uno scherzo per spaventare i “potenti”. Nicola Gratteri non ci ha mai davvero pensato alla possibilità di mettere piede a Palazzo dei Marescialli. E a chiarirlo è lui stesso, dalla Calabria, nel corso di “Link, Tropea Communication Meeting”, la kermesse organizzata dal network calabrese LaC, durante la quale il procuratore di Catanzaro ha sparato a zero sulla ministra della Giustizia Marta Cartabia e sulla riforma della giustizia da lei portata a compimento. Il capitolo relativo al rinnovo del Consiglio superiore della magistratura è solo uno dei tanti affrontati dal magistrato, che nonostante il corteggiamento di Autonomia & Indipendenza, la corrente fondata da Sebastiano Ardita e Piecamillo Davigo, e il tentativo di diversi membri dell’attuale Consiglio di tirarlo dentro per creare scompiglio nei giochi di potere non ha mai preso seriamente in considerazione l’opportunità di chiudere la propria carriera rimanendo “fermo” in uno dei luoghi dove si gestisce il potere, lo stesso che, a suo dire, lo avrebbe penalizzato perché scomodo. «Io non sono un uomo di mediazione - spiega Gratteri -. Sono abituato a non uscire da una riunione senza aver preso una decisione, non posso andare in un organismo dove la mediazione è il pane quotidiano». E questo perché al Csm «mediazione non significa scegliere la soluzione migliore», bensì fare «una scelta al ribasso. E io non potrei stare per anni lì a guardare accordi e scambi. La riforma del Csm ha peggiorato, se possibile, la situazione. Non ho mai pensato di andare al Csm». Allora perché assecondare le voci che lo davano tra i possibili candidati? «Mi piaceva farlo pensare - risponde il numero uno della procura di Catanzaro -, mi piaceva vedere i potenti avere paura, mi hanno ballato per un anno sulla pancia per la Procura nazionale antimafia. Ho detto “ora per un paio di mesi mi diverto io”». Gratteri, dunque, sembra non aver ancora digerito la scelta formulata pochi mesi fa da Palazzo dei Marescialli, che gli ha preferito il procuratore di Napoli Giovanni Melillo alla guida degli uffici di Via Giulia. Una nomina, quella del vertici della Direzione nazionale antimafia, che ha fatto molto discutere: durante il plenum si sono contrapposti, in particolare, gli interventi dei togati antimafia Nino Di Matteo e Ardita a quello del collega di Area Giuseppe Cascini. I primi convinti che la «bocciatura» di Gratteri rappresenti un segnale pericoloso per la lotta alla criminalità, ma anche un modo per isolarlo e lasciarlo in pasto ai clan, come accaduto a Giovanni Falcone, il secondo costretto a prendere le distanze dall’idea che la scelta di un candidato diverso possa rappresentare una «delegittimazione» e che le nomine possano essere commentate in termini di bocciature e promozioni. Tutti e tre i candidati, aveva ricordato infatti Cascini, vivono «sotto scorta da decenni», un modo per bollare come riduttivo l’appunto dei due togati pro Gratteri. Proprio per tale motivo chi lo aveva fortemente sostenuto per la successione di Federico Cafiero de Raho aveva sperato che il magistrato calabrese potesse decidere di abbandonare gli uffici di procura per fare ingresso nel palazzo: un modo per inserire una mina vagante in un mondo fatto di trattative e giochi di potere, ai quali la toga si è sempre definita allergica. Tant’è che anche dal palco di Tropea ci tiene a ribadire la sua diffidenza nei confronti di chi si trova nella stanza dei bottoni. «Io sono un problema per il potere - sottolinea -, non sanno dove collocarmi. Dico cose che gli altri hanno paura di dire, hanno paura di dispiacere i potenti, di non prendere i voti. Io sono un uomo libero. Non mi interessa niente, la cosa più bella è la libertà». E infatti arriva immancabilmente l’attacco a Marta Cartabia, un ministro che «non ha nessun rispetto per i magistrati», dice il procuratore di Catanzaro. «Sulla giustizia negli ultimi anni sono stati fatti dei macelli». Un attacco che riguarda anche la situazione delle carceri e, in particolare, la scelta di creare le cosiddette “case dell’amore”. «Le carceri italiane sono piene di pazzi che nessuno cura, sono piene di tossicodipendenti che non si cerca di far disintossicare - sottolinea -. Perché non ci sono i soldi. Perché non si sa dove metterli. Poi il governo ha stanziato 28 milioni di euro per costruire una Casa dell’Amore in ogni carcere. Ogni mese i detenuti di massima sicurezza, cioè che non possono avere permessi, possono incontrarsi per 24 ore con i partner. 28 milioni di euro per le Case dell’Amore. Queste cose non possono passare come acqua fresca». Peccato, però, che quella delle Case dell'Amore sia una bufala smentita già a suo tempo dal ministero della Giustizia: la fake news nacque a seguito di notizie stampa che commentavano l'iniziativa della Regione Toscana, che nel 2020 presentò un disegno di legge rispetto al quale il ministero «non ha assunto alcuna iniziativa né ha espresso valutazioni politiche, ma è stato chiamato ad esprimere un doveroso supporto tecnico ad attività di tipo parlamentare».