Il salvinismo è la cosa che più somiglia al trumpismo in questo paese. E il trumpismo è un male radicale in qualunque paese si manifesti – un ininterrotto flusso eversivo. Il fatto è che il Partito repubblicano americano sembra non riuscire a fare a meno di Trump e a scrollarsi di dosso il trumpismo; proprio come il centrodestra italiano sembra non riuscire a fare a meno di Salvini e a scrollarsi di dosso il salvinismo. Si può dissentire – e considerare Salvini e il salvinismo il sale della democrazia. Chi crede questo non ha mai capito quello che ha significato e significava la presidenza di Draghi per questo paese.

Draghi ha preso un paese imbambolato dal contagio prima e balbettante sulla vaccinazione poi (e disse a Salvini che “l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire”), impastoiato nella macchina organizzativa che non decollava, con ogni regione che faceva quel che a ogni governatore sembrava giusto, e ne ha fatto un paese “virtuoso”; Draghi ha preso un paese che non era in grado di presentare un piano dettagliato per mettere a terra il PNRR con progetti di spesa credibili e disegnando le riforme necessarie, tanto che Bruxelles era allarmata – e è riuscito a costruire un cronoprogramma implacabile, manco fossimo svizzeri, manco fossimo tedeschi; Draghi non ha avuto un momento di esitazione nello schierarsi con il popolo ucraino nella guerra di Putin, diventando un punto di riferimento in Europa per le sanzioni contro la Russia, “portando”, quasi letteralmente, Macron e Scholz a Kiev a incontrare Zelensky, e insistendo per un tetto al prezzo del gas come “misura comune”.

L’Italia non è mai stata così credibile internazionalmente, non ha mai avuto un tale ruolo di traino in Europa. Le “regole di ingaggio” tra la politica italiana e Draghi erano chiare: la politica faceva un passo indietro, Draghi faceva quello che era necessario fare. Il perimetro di maggioranza che gli aveva dato la fiducia il 17 febbraio 2021 non poteva essere modificato: il suo era un “governo di unità nazionale” – togliere una qualunque tessera faceva cadere l’intero castello.

Dopo 500 giorni di “mordacchia”, i partiti hanno cominciato proprio a scalciare – e il motivo principale io credo stia in questo: nella nascita del “draghismo”. Draghi è cioè riuscito durante il suo governo a intercettare e edificare un “sentimento sociale” stanco di fracassonismi, di piroette quotidiane, di strepiti e urla per ogni nonnulla, di un continua gara a correre verso il baratro e vedere chi riesce a saltare per ultimo. Questa “società civile” che si è anche palesata, dopo il rifiuto dei Cinquestelle di votare il Decreto Aiuti e la decisione di Draghi di salire al Colle, dove Mattarella lo ha poi convinto a parlamentarizzare la crisi – fatta di duemila sindaci, associazioni di categorie professionali, sindacati, medici e infermieri del contagio, semplici cittadini, ha per la prima volta reso visibile un conflitto con la “società politica”. Non “l’antipolitica”, anzi.

Draghi, nel suo ultimo discorso per la fiducia, l’ha citata come “il motivo” della sua rinnovata richiesta. Forse, è stata una sgrammaticatura istituzionale - ma di sicuro era una freschezza di democrazia, se per democrazia non intendiamo solo i riti del parlamento, ma la partecipazione sociale alla “forma dello Stato”. Io credo che questo sia stato il vero campanello di allarme - qualcosa cioè che poteva diventare molto più radicato e radicale di quella ricerca del “centro draghiano”, come fosse il Graal. Poteva cioè dare all’uomo delle banche una base sociale – e non più e solo una “investitura dall’alto”. Per Conte e Salvini - gli interpreti cioè del populismo fracassone - questa è diventata la partita della vita. Non era forse nelle intenzioni di Conte, ma l’assist fornito a Salvini è stato strepitoso, quasi fossero nella stessa squadra.

Chi è rimasto spiazzato e stritolato è senza dubbio il Pd di Enrico Letta, che invece fin dal primo giorno aveva sposato Draghi, senza riserve. Venendone anche premiato, nelle ultime amministrative (la “società civile”), forse proprio per questo atteggiamento pragmatico di sostegno. L’errore più grave di Letta è stato insistere sul “campo largo”, ovvero sull’alleanza con i Cinquestelle, proprio mentre i Cinquestelle perdevano progressivamente, giorno dopo giorno, quella simpatia popolana che pure erano riusciti a cumulare. Proprio mentre i Cinquestelle iniziavano a far scricchiolare Draghi.

Il primo gesto politico che dovrebbe fare oggi Enrico Letta è stracciare queste assurde primarie in Sicilia con i Cinquestelle per scegliere un candidato comune alle elezioni regionali. Un errore fino a ieri, un orrore oggi – altro che “laboratorio”, il laboratorio del dottor Frankenstein, forse. Non c’è nessun calcolo di bottega per raccogliere voti che possa giustificare la perdita di credibilità davanti gli occhi degli elettori.

Nessuno può fare le veci di Draghi, nessuno può agire il “draghismo” senza Draghi. Quello che si può fare è provare a costruire insieme a questa società civile una politica di riforme, di modernizzazione, di diritti, a cominciare da quelli del lavoro. Forse questo è il momento in cui il salvinismo e il populismo sono più deboli – le crisi personali, che continuano dentro il centrodestra e i cinquestelle possono significare questo. Ma per contrastarli davvero serve una politica coraggiosa.