di Alberto Liguori*

Il buon legislatore fa precedere ogni progetto di riforma da un’attenta analisi della realtà che intende governare, valorizzandone gli aspetti positivi, al fine di calibrare l’intervento. Solo così sarà in grado di dar vita ad una riforma efficace.

Tra gli aspetti positivi della giustizia tributaria vi è quello della laboriosità dei suoi giudici. È, infatti, fuori discussione l’elevata produttività dei giudici tributari di merito, provenienti dalle varie magistrature e dal mondo delle professioni, i quali, anche nel 2021, hanno smaltito circa 200 mila cause del valore di quasi 40 miliardi di euro: le pendenze al 31 dicembre 2020 ammontavano a 345.263, le nuove cause iscritte nel 2021 sono state 120.511, quelle definite 193.293, a dimostrazione di come le commissioni tributarie smaltiscono anche l’arretrato ( calcolando le pendenze iniziali 2020 e le pendenze finali 2021, diminuite da 345.262 a 272.481, l’indice di smaltimento è del 21 percento).

Il punto cardine della riforma della giustizia tributaria che a breve verrà discussa in Parlamento, e che dovrebbe entrare in vigore l'anno prossimo, è quello di archiviare l'attuale giudice tributario onorario per un giudice di ruolo full time ( l'organico è fissato in 576 unità), scelto con concorso pubblico e che come nelle altre giurisdizioni non vada più in pensione a 75 anni ma a 70. Mi permetto alcune considerazioni. Oggi i giudici tributari onorari in servizio sono 2561. Con l'abbassamento dell'età pensionabile il prossimo primo gennaio avverrà uno sfoltimento di 656 unità, di cui 30 presidenti di commissione, 110 presidenti di sezione, 139 vicepresidenti.

Gli autori del progetto di riforma sembrano non conoscere la realtà giudiziaria tributaria, ignorando che proprio il sapere specialistico maturato nel tempo ha contribuito a creare una magistratura apprezzata dai cittadini e dall’Europa, unico esempio di sana ed intelligente convivenza tra mondo togato e mondo delle professioni.

La “rottamazione” degli ultra settantenni tradisce la miopia dei proponenti: la gran parte di essi dirigono le commissioni tributarie full time garantendo la formazione di tante giovani leve, favorendone la specializzazione. È proprio l’esperienza il valore aggiunto della giurisdizione tributaria. Insomma, non si comprendono le reali ragioni ( mondo accademico, mondo delle professioni e delle associazioni non lo hanno mai segnalato) del progetto di licenziamento in tronco di 656 preziose risorse, né tanto meno la previsione di una fase transitoria di convivenza fra onorari e di ruolo destinata a durare addirittura oltre il 2050!

Ma la miopia legislativa è soprattutto di metodo: dalla relazione tecnica allegata al ddl di riforma e curata dalla Ragioneria dello Stato non è dato sapere come una squadra di 576 neo magistrati tributari sarà in grado di definire un contenzioso di 200 mila cause. Quale studio è stato fatto per sostenere che ognuno dei 576 nuovi magistrati tributari di ruolo sarà in grado di scrivere, visti i carichi, 374 sentenze all’anno? Ma soprattutto si ignora che le 68 unità di magistrati tributari previste per ogni anno, a partire dal 2023, non potranno assumere le funzioni se non dopo almeno 18 mesi tra bando di concorso e il decreto di nomina, e non potranno andare a regime ( 374 sentenze per anno) se non dopo un congruo periodo di tirocinio.

Per il prossimo anno è previsto anche un interpello per 100 posti dedicato agli attuali componenti togati delle commissioni tributarie con accesso diretto alla giurisdizione tributaria senza concorso. Siamo sicuri che ci siano 100 magistrati ordinari pronti a questa scelta irreversibile?

Concludo con i costi della riforma. Attualmente la giurisdizione onoraria tributaria costa all’Erario 60 milioni di euro. Con la riforma, calcolando il 2023 – 2030, tale somma salirà a 550 milioni di euro. Sarebbe opportuno, allora, una maggiore ponderatezza per evitare di gettare alle ortiche una giurisdizione che, pur fra mille difficoltà, ha sempre svolto con impegno i compiti affidatigli. (*PROCURATORE TERNI, MEMBRO CPGT)