Gigi Di Maio è entrato a gamba tesa nella mischia già laocoontica a centro campo e ha confuso ulteriormente giochi che già erano tutt'altro che ben definiti. La nuova forza del ministro degli Esteri, Insieme per il Futuro, è centrista e guarda a sinistra.

Insomma mira all'alleanza con Letta, cerca un posto al sole nel campo nel frattempo ristrettosi del segretario del Pd. Già ma lo cercherà da solo o dopo essersi accorpato con qualcuno dei tanti frammenti più o meno centristi che orbitano in quell'affollato spazio politico? Impossibile dirlo. Si parla moltissimo di rapporti con il sindaco di Milano Beppe Sala, un po' meno e a mezza voce di contatti con la presunta frondista azzurra e collega ministra Mara Carfagna ma si tratta per ora di chiacchiere forse con qualche fondamento ma forse anche frutto di pura fantasia.

Per Letta cambierebbe poco. La sua barra resta quella di mettere insieme in unico cartello entrambi i cocci del M5S. Missione non impossibile ma neppure facile. Si sa come vanno le cose quando un partito si scinde, quale codazzo di rancori e recipro-ca intolle-ranza la deflagrazione si porta dietro. Ma soprattutto l'arruolamento al centro dell'ex amico dei gilet gialli, ex trionfatore sulla povertà con il Reddito di cittadinanza, ex proponente di un impeachment per il capo dello Stato, regala energia e argomenti a quanti nel Pd mirano a scaricare Conte per imbarcare la flottiglia centrista, con le vele di Di Maio spiegate ora al vento. Non è l'obiettivo del segretario, che resisterà a pressioni e insistenze se le circostanze glielo consentiranno. Dunque se i frammenti centristi non si coaguleranno in un cartello tanto forte da poter reclamare la testa dei 5S e se non ci saranno incidenti gravi nella maggioranza.

Su quest'ultima circostanza nessuno oggi è pronto a scommettere. Il sospirato traguardo della pensione per i parlamentari è stato di fatto tagliato: uno dei principali ostacoli alla crisi si è dissolto. L'umiliazione di Conte nella partita delle armi e della risoluzione sulle armi è stata cocente, troppo per non lasciare un'eredità di risentimento e ansia di rivincita che emergerà in pieno con la legge di bilancio oppure se e quando il coinvolgimento italiano nella guerra dovesse diventare più diretto, eventualità che nessuno esclude con assoluta certezza. La rottura con Draghi implicherebbe quella con Letta ed è questo, in fondo, il vero cruccio che frena Conte.

Va da sé che il nuovo arrivo fa balenare con scintillio ancor più abbacinante il miraggio di un centro coeso, autonomo, tanto forte da costituire il fulcro del sistema politico. È un sogno che nutrono in molti ma l'unico a perseguirlo con assoluta determinazione e senza lasciare spazio a piani B, C e magari anche D è Calenda. Il problema è che Calenda è anche il solo che sia riuscito a far lievitare un po' nei sondaggi la sua formazione, passando dal solito prefisso telefonico a una percentuale bassa ma non insignificante, intorno al 5 per cento. Dunque senza Calenda, che sembra non aver alcuna intenzione di intrupparsi in un'armata Brancaleone composta dai centristi di ogni tonalità. È così che, a strettissimo giro, ha cominciato a farsi largo subito dopo la svolta di Di Maio una possibilità che sembrava sino alla vigilia fantascientifica: sostituire al campo largo di Letta un campo larghissimo, tanto da ricordare la sommatoria di sigle messa insieme senza gran fortuna da Prodi nel 2006, l'Unione.

Se non cambierà la legge elettorale, ed è molto improbabile che ciò avvenga, si profila in funzione anti- destra, argomento sempre appetibile, quello che ha permesso a Macron di essere rieletto in Francia nonostante l'impopolarità certificata poi dalle elezioni legislative, un cartello che andrebbe da Renzi a Fratoianni, con all'interno entrambe le anime dell'ex M5S, quella lealista e quella convertita a posizioni non diverse ma opposte al grillismo delle origini. Resterebbe fuori Calenda, che non accetterà mai di allearsi con gli eredi, o i cascami, del grillismo.

Per ora sia tratta ancora di un orizzonte tremolante e lontano, comunque molto meno irrealistico e più tangibile di quanto non fosse appena una settimana fa. Se Conte dovesse essere costretto dalle circostanze o dall'istinto di sopravvivenza a uscire dal governo, l'ammucchiata, depurata dei 5S, diventerebbe realtà con la velocità della luce. Ma anche in caso contrario non è affatto escluso che proprio lì si finisca.