Il capo della Procura di Bologna, Giuseppe “Gimmi” Amato, e l’aggiunto milanese Maurizio Romanelli hanno deciso di impugnare al Tar la nomina di Marcello Viola a procuratore di Milano. Il ricorso è stato presentato qualche giorno prima che scadessero i termini per il deposito. Toccherà adesso al Consiglio superiore della magistratura dare mandato all’Avvocatura dello Stato di difendere davanti al giudice amministrativo il provvedimento con il quale lo scorso 7 aprile ha nominato Viola.

In Plenum, a favore dell’ex procuratore generale di Firenze si erano espressi i quattro consiglieri togati di Magistratura indipendente ( la corrente conservatrice a cui Viola è iscritto), tutti i laici tranne il vice presidente David Ermini, astenuto come da prassi, i pm antimafia Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo. I tre togati di Unità per la costituzione avevano invece votato per Amato, esponente del gruppo centrista, mentre Romanelli aveva ottenuto i cinque voti dei consiglieri progressisti di Area e quello della togata Ilaria Pepe di A& i. Si erano astenuti i vertici della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi.

Non trova, dunque, pace la Procura di Milano, uno degli uffici giudiziari più importanti del Paese, da tempo scosso da tensioni interne e che ha anche visto diversi pm finire indagati per reati legati al modo in cui sono stati gestiti alcuni procedimenti. Il caso più eclatante è quello dell’aggiunto Fabrizio De Pasquale accusato di rifiuto d’atti d’ufficio nell'ambito del processo Eni- Nigeria. La nomina di Viola, come si ricorderà, aveva interrotto una tradizione consolidata da decenni. Fin dagli anni Ottanta, prima ancora dell'inizio di Mani pulite di cui quest'anno ricorre il trentennale, il procuratore di Milano veniva scelto fra i magistrati che avevano prestato servizio al Palazzo di giustizia di corso di Porta Vittoria e che erano legati alla corrente di sinistra di Magistratura democratica. Viola, non avendo nessuna di queste caratteristiche, era stato ribattezzato il “papa straniero”. Insediatosi a tempo di record il successivo 20 aprile, in queste settimane Viola ha optato per un apprezzabile “low profile”, evitando esternazioni o commenti sui procedimenti in corso, ed avviando in silenzio e senza clamore una riorganizzazione dell’ufficio. Al momento non ha ancora scelto chi sarà il proprio “vice”. Il nome del magistrato siciliano era diventato improvvisamente noto al grande pubblico dopo l’ormai celebre incontro all’hotel Champagne.

La sera del 9 maggio del 2019, i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri, oltre a cinque togati del Csm, si erano ritrovati insieme a Luca Palamara nell’albergo romano per discutere di nomine, ad iniziare da quella del nuovo procuratore di Roma, incarico per il quale Viola aveva fatto domanda. Le loro conversazioni notturne, registrate con il trojan inserito nel cellulare di Palamara dalla Procura di Perugia che stava procedendo per corruzione nei suoi confronti, avevano avuto l’effetto di stoppare la corsa di Viola. Il Csm, all’indomani della pubblicazione di questi colloqui sui giornali, con un provvedimento alquanto irrituale aveva infatti deciso di annullare in “autotutela” la votazione del 23 maggio 2019 della Commissione per incarichi direttivi dove Viola aveva preso 4 voti. Il cambio di maggioranza a Palazzo dei Marescialli, a seguito delle dimissioni dei togati che erano all’hotel Champagne, e la decisione di Piercamillo Davigo di non votare più Viola, avevano quindi favorito Michele Prestipino, magistrato che inizialmente non era stato neppure preso in considerazione.

Non avendo letto il ricorso di Amato si può solo ipotizzare che abbia criticato la minore valorizzazione da parte del Csm del suo incarico di procuratore distrettuale, ruolo mai svolto da Viola. Si tratterebbe, comunque, di “discrezionalità tecnica” da parte di Palazzo dei Marescialli. I ricorsi al Tar, comunque, stanno diventando da qualche tempo una prassi fra le toghe. A ciò si aggiunge il fatto che quasi tutte le nomine più importanti avvengono sempre al termine di scontri durissimi in Plenum. L’ultimo caso è stato quello della Procura nazionale antimafia, con Di Matteo che ha usato parole di fuoco per commentare la bocciatura del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri in favore di Giovanni Melillo. Spaccature e scontri che, molto probabilmente, ci saranno anche questa settimana quando si dovrà nominare il nuovo procuratore generale della Cassazione.