“L’ondata nera”: quasi tutti i quotidiani commentano con toni apocalittici il successo del Ressemblement National di Marine Le Pen ai ballottaggi delle elezioni legislative. In effetti mai prima d’ora l’estrema destra francese aveva eletto tanti deputati in Assemblea Nazionale, più di ottanta. Basti pensare che nel 2017 l’allora Front National aveva raccolto la miseria di otto parlamentari e cinque anni prima appena due. E pur navigando per trent’anni costantemente 10 e il 16% in diverse legislature non è riuscito a eleggere nemmeno un rappresentante.

Il sistema uninominale a doppio turno ha infatti storicamente escluso il Fn dalla rappresentanza politica, ma non lo ha mai sradicato dalla pancia del paese dove a lungo ha lievitato conquistando i favori delle fasce di popolazione più povere come operai e agricoltori. Solo nel 1986 il partito guidato da Le Pen padre raccolse 35 parlamentari ma unicamente grazie a una legge che prevedeva una quota di proporzionale in alcuni dipartimenti e che fu cancellata alle elezioni successive. Per una sorta di implicito patto repubblicano, socialisti e gollisti hanno sempre sbarrato la strada ai candidati della destra radicale, considerando quella formazione razzista e xenofoba incompatibile con le stesse istituzioni dello Stato e votarla era un autentico tabù, Questo schema ha funzionato per decenni. Ma il rovinoso crollo dei partiti che per oltre sessant’anni hanno dominato la scena politica d’oltralpe ha radicalmente terremotato il paesaggio politico. Ed è stato fulmineo.

Appena dieci anni fa, nel 2012, l’Ump di Sarkozy e il Ps di François Hollande raccoglievano in due il 78% dei voti e l’ 80% dei deputati. Cinque anni dopo i voti erano più che dimezzati, mentre oggi non raggiungono il 10%. Come se fosse passato un secolo. Per un curioso destino le due personalità politiche più importanti dei due schieramenti, Sarkozy e Strauss- Kahn sono stati entrambi fatti a pezzi dalla magistratura, un soggetto di cui i media francesi parlano molto poco ma che ha contribuito anch’esso alla mutazione profonda del paesaggio politico. Peraltro anche François Fillon, il numero due di Sarkozy che nel 2017 pareva potesse battere Emmanuel Macron ha visto la sua carriera naufragare sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, Marine Le Pen dunque esulta e tira acqua al suo mulino, dal suo punto di vista ha ragione a parlare di affermazione storica e a intestarsi il successo, ma sa benissimo che la Francia è tutt’altro che attraversata da un’ondata nera.

C’è un dato che sorprende nel voto di domenica: i sessanta deputati eletti dai Répubblicain, ossia il centrodestra gollista che al primo turno ha subito la più pesante sconfitta della sua storia con il 6% dei consensi. Grazie al meccanismo delle triangolari ( al ballottaggio può partecipare il candidato arrivato terzo a patto che abbia almeno il 12,5%) il secondo turno ha rovesciato il disastroso risultato di quindici giorni fa. Milioni di elettori di destra hanno votato “all’antica” scegliendo i candidati centristi laddove era possibile. Questo significa che il Rn di Marine è una forza radicata ma non in espansione e che soprattutto approfitta del vuoto cosmico lasciato dalla droite.

Nel farlo però ha cambiato molte indigeribili parole d’ordine del passato. Le parole e la propaganda di Marine sono quelle di un partito populista ma non estremista, anzi, la leader ha espresso posizioni nette sui diritti civili, sostenendo la legge sull’aborto e promettendo di non abolire i matrimoni omosessuali in caso diventasse un giorno presidente. E durante la campagna per le ultime presidenziali ha criticato «l’islamofobia» del candidato identitario Eric Zemmour il quale per tutta risposta ha detto che ormai era diventata «una donna di sinistra».

A proposito di sinistra: il “campo largo” guidato da JanLuc Mélenchon (Nupes) vince alla grande la sua scommessa, primo partito tra i giovani ha eletto 150 parlamentari impedendo a Macron di ottenere la maggioranza. In pochi credevano che il leader della France insoumise sarebbe riuscito a unire socialisti, verdi e comunisti e a farne un progetto credibile. Ora è lui l’ago della bilancia e nei prossimi febbrili giorni di trattative per il nuovo governo farà di sicuro sentire la sua voce. Magari riuscendo a vincere la scommessa più difficile: farsi nominare premier per spostare la Francia ancora più a gauche.