Il risultato del referendum di domenica scorsa va valutato a mente fredda come ogni accadimento complesso per il quale è difficile dare una risposta immediata. I commenti affrettati di questi giorni sono tutti validi ma sono tutti parziali o semplicistici e certamente marginali. La data di giugno, il sole, il mare, le vacanze scolastiche, una sola giornata per votare e, a mio parere, anche la scarsa informazione che pure è fondamentale nelle imprese politiche, non danno una risposta completa e convincente che va ricercata nelle modalità con le quali è venuto fuori il referendum.

Le firme raccolte dai radicali sono ineccepibili per il valore che è giusto dare alla consultazione, ma si sono aggiunte quelle della lega che sono state chiaramente strumentali, false, senza una strategia. Salvini è un bullo inaffidabile che si è mobilitato in un momento in cui contestava la “giustizia e i magistrati” per le note vicende e poi ha detto in campagna elettorale che vi erano altre questioni più importanti. E i cittadini hanno capito che “un capo“ che vuol manovrare il suo partito e i cittadini non è quindi degno di fiducia: Salvini pensava di oscurare radicali con il loro intento limpido e saggio, per essere l’unico vincitore.

I quesiti non erano punitivi in sé perché si tratta di questioni delle quali tanti di noi discutono da anni, ma sono apparsi punitivi perché chiesti da un signore che dopo è stato costretto a fare marcia indietro o ci ha ripensato, pure avendo fatto spendere allo Stato una rilevante somma e strumentalizzato i cittadini elettori.

Questo il problema intrinseco al referendum così come proposto con le modalità dette che ha reso scettico l’elettorato. Alcuni hanno eccepito che i quesiti erano difficili, ma la storia dei referendum dal dopoguerra in poi, ci porta a dire che anche i quesiti più difficili sono stati compresi del corpo elettorale nella loro ratio profonda, nel loro significato generale. Il referendum sulla modifica della Costituzione patrocinato dal governo nel 2016 e ossessivamente propagandato da Renzi è ancora incompreso da molti ma aveva un chiaro valore strumentale da convincere tanti a votare contro, e la grande propaganda ha incentivato gli elettori a votare. D’altra parte dobbiamo prendere atto, sempre con grande meraviglia, che partiti come il PD che dovrebbero essere appunto democratici e amanti delle riforme le quali servono a far funzionare meglio la democrazia, sono stati ostili al referendum e hanno scoperto che le riforme le deve fare il Parlamento… ma sono stati inattivi per oltre quarant’anni!! Ora a cose fatte dobbiamo ragionare, come ho detto, con obiettività e freddezza.

Da anni la partecipazione cittadina al voto è molto scarsa e questo è un problema serio per la democrazia che è fatta di partecipazione la quale esprime la rappresentanza che più è corale e più è forte. Anche a livello locale, come abbiamo potuto constatare per le elezioni comunali la partecipazione elettorale ha superato complessivamente di poco 50% e tradizionalmente le battaglie per il campanile grande o piccolo hanno interessato tutti. Vi è questo problema, che è indubbiamente un deficit per la democrazia. Per il passato tanti hanno chiesto e chiedono che si elimini il quorum del 50 + 1% non più realistico, e nonostante la proposta abbia una sua ragione, credo che istituiti così delicati come il referendum che possono alterare l’ordinamento statale e l’equilibrio istituzionale debbano trovare la partecipazione della maggioranza. Pur tuttavia nell’ultimo mio scritto in cui incitavo il voto, consapevole delle difficoltà di un risultato formale, dicevo che la risposta del cittadino doveva costituire una sollecitazione per il Parlamento.

Orbene il risultato non è un voto contrario, ma per tutti i cinque referendum è altamente positivo e se si fa una proiezione sul possibile risultato, nel caso tutti avessero votato, si otterrebbe un responso valido anche sul piano anche formale. Allo stato abbiamo un risultato sostanziale. Il rispetto della democrazia ha un valore formale perché determina e codifica le regole, ma ha anche un valore sostanziale nel senso del dovere di "ascoltare le indicazioni del corpo elettorale" proprio per curare i mali della magistratura, le anomalie del processo che nessuno più dei giudici sa che sono profondi e seri. Questi problemi riguardano la democrazia, il rapporto tra i poteri, e l’ordinamento giudiziario stabilisce le regole interne della categoria.

L’Associazione Nazionale dei Magistrati non rappresenta tutte le categorie se lo sciopero indetto a maggio anche lì non ha visto la partecipazione della maggioranza, perché vi sono certamente sfumature culturali diverse, idee diverse nel ruolo del giudice e del magistrato. E quindi è sperabile che al di là della vittoria celebrata improvvidamente, si riuniscano le varie correnti per discutere di questi problemi ridando vigore culturale alle loro organizzazioni; ed è auspicabile che dopo la riforma approvata dalla Camera dei Deputati si confermino al Senato le norme già approvate in prima lettura per poi proseguire sui temi più impegnativi e decisivi di cui abbiamo scritto molte volte.