«Non esclude d’altronde che l’istituto conservi la propria fisiologica funzione deflattiva anche in questa ipotesi, determinando comunque l’interruzione del processo e l’estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa alla prova». È un passaggio della sentenza della Corte costituzionale sull’illegittimità costituzionale parziale, estendendo così la possibilità di ricorrere alla messa alla prova. La Consulta, nello specifico, ha infatti dichiarato illegittimo l’articolo 517 Cpp nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi (articolo 12, comma 1, lettera b), Cpp), la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli.

Come si legge nella sentenza, con l’ordinanza del 25 marzo 2021, il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione.

Il giudizio a quo è stato instaurato mediante decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di D. L. P., chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d. P. R. 6 giugno 2001, n. 380 recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”. Successivamente all’apertura del dibattimento e a seguito dell’escussione di un testimone della lista del pubblico ministero, quest’ultimo ha proceduto, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., alla contestazione di ulteriori reati – connessi al primo ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. – di cui agli artt. 71 e 95 del d. P. R. n. 380 del 2001, per la violazione, rispettivamente, degli artt. 64, 65 e 93 del medesimo d. P. R., avvinti dal nesso della continuazione ex art. 81, secondo comma, del codice penale. A seguito della nuova contestazione, il difensore dell’imputata, munito di procura speciale, ha presentato istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, rispetto alla quale è stato acquisito un programma di trattamento da parte dell’ufficio di esecuzione penale esterna.

Chiamato a decidere su tale istanza, il rimettente ha osservato che l’art. 464- bis, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere formulata solo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, così escludendo implicitamente che la relativa istanza possa essere avanzata a seguito di una nuova contestazione ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. Ed è qui che si solleva la questione. Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ha osservato anzitutto che i rapporti tra le nuove contestazioni dibattimentali e il recupero da parte dell’imputato della facoltà di chiedere l’applicazione di riti alternativi sono stati interessati da plurimi interventi della Consulta, caratterizzati da una tendenziale e graduale apertura verso l’esercizio di prerogative che risulterebbero altrimenti precluse.

I giudici della Consulta, nel pronunciarsi, sono partiti dalla constatazione che diversamente da quanto accade nel rito abbreviato, nella messa alla prova convivono un’anima processuale e una sostanziale. E che «proprio tale accentuata vocazione risocializzante, si oppone alla possibilità di una messa alla prova "parziale", ossia relativa ad alcuni soltanto dei reati contestati». I giudici delle leggi hanno infine sottolineato che «l’imputata dovrà essere rimesso in condizione di optare per la messa alla prova anche con riferimento alle imputazioni originarie, intraprendendo così quel percorso al quale avrebbe potuto orientarsi sin dall’inizio, ove si fosse confrontato con la totalità dei fatti via via contestatigli dal pubblico ministero».