Sulla carta la destra ha una strada tutta in discesa di qui alle prossime elezioni. Questo almeno è il responso di un test elettorale certamente limitato, avendo riguardato solo il 10 per cento del Paese, ma comunque più incisivo e affidabile dei soli sondaggi, tanto più che il voto concreto conferma il verdetto delle rilevazioni. La spinta dell'elettorato è infatti opposta per quanto riguarda i due principali competitor: centrifuga a sinistra, centripeta a destra. Complica il lavoro per Letta, lo semplifica, sempre sulla carta però, a destra. Se da un lato il segretario del Pd si trova costretto a scegliere tra due alleati entrambi necessari per sperare di vincere le elezioni ma incompatibili tra loro, alle tre formazioni principali della destra arriva un messaggio opposto dall'elettorato. Nonostante i litigi continui, nonostante due di questi partiti siano al governo e uno all'opposizione la richiesta della base elettorale è unitaria. È un segnale che, con questa legge elettorale, nessuno a destra può permettersi di ignorare e infatti Salvini ha cercato di mascherare una sconfitta cocente della sua Lega proprio impugnando l'interesse unitario e comune della coalizione.

Certo, proprio un esito che promette di incoronare Giorgia Meloni regina della destra potrebbe spingere i partiti alleati a spostarsi a favore di una riforma proporzionalista proprio per sfuggire al rischio di finire vassalli. Tutto è possibile, di certo il Pd ci spera molto. Ma le controindicazioni sono quasi proibitive: il proporzionale consegnerebbe il Paese proprio al Pd, il solo partito in grado di occupare una postazione centrale nel quadro politico. La Lega finirebbe condannata a percorrere a tempo indeterminato la via crucis nella quale si trascina perdendo voti a ogni km da quando è entrata nella maggioranza di Draghi oppure finirebbe relegata all'opposizione come forza minore rispetto a Fratelli d'Italia. Come prezzo in cambio dello sgambetto all'amica/ nemica è quasi certamente troppo esoso.

Contrariamente alle apparenze, infine, non è affatto detto, pur essendo certamente possibile, che la netta vittoria di Fratelli d'Italia sortisca effetti destabilizzanti. Il testa a testa, costringendo a una sfida all'ultimo voto, lo è stato e forse lo sarà. Può non esserlo una geometria nella quale un partito è chiaramente vincente, non solo in termini di voti ma anche in termini geografici, al nord come al sud, ma altrettanto chiaramente dipendente dall'alleanza con le forze peggio piazzate non avendo alcuna chance di vittoria da solo. Dunque tutto dipenderà da quanto Giorgia Meloni sarà capace di smettere i panni della leader di partito per indossare quelli, molto diversi, di chi guida una coalizione. Sin qui la leader di Fratelli d'Italia si è concentrata solo sulla sfida interna, ha giocato solo per emergere, garantendo visibilità e consenso alla sua formazione a spese di quelle alleate. Sia nelle precedenti tornate amministrative sia nella partita del Colle, la sua scelta di mettere la competizione interna al primo posto ha avuto effetti esiziali. Ora, con il risultato del voto di domenica a coprirle le spalle, la leader tricolore potrebbe essere tentata dal proseguire sulla stessa strada, facendo valere il suo peso anche a costo di umiliare gli alleati. Lo ha fatto nell'ultimo vertice del centrodestra, quando ha chiesto per il suo partito il 40-50 per cento dei seggi, lasciando allibiti e furiosi i soci. Lo ha fatto di nuovo nella conferenza stampa post- elezioni, nella quale è stata attenta soprattutto a magnificare ed esaltare il suo successo dedicando solo poche parole alla coalizione.

Non è solo una strada pericolosa: è il vero pericolo che corre la destra di qui alle elezioni dell'anno prossimo e anche subito dopo, in caso di vittoria. Per tenere unita la coalizione, renderla credibile agli occhi degli elettori, vincere le elezioni e poi trasformarla in maggioranza di governo, passaggio tutt'altro che automatico, Giorgia Meloni deve sapersi muovere come leader della coalizione: garantire spazio adeguato a tutti gli alleati, rinunciare a palazzo Chigi promettendo di indicare un nome diverso dal suo, come quello di Guido Crosetto, oppure insistere per occupare lei quel posto in caso di vittoria ma concedendo in questo caso alle altre forze della destra ministeri centrali. Più in virtù dell'impazzimento della politica che delle sue doti, la sorella d'Italia ha oggi in mano le carte per vincere una partita storica. Tutto sta a vedere se sarà in grado di giocarle bene.