Non sapevamo che ci sarebbe stato il silenzio assoluto fino a qualche giorno prima del voto, quando a suo tempo abbiamo deciso di impegnarci sui referendum.
È stato facile, per tutti noi di Base Italia, comprendere di non poterne fare a meno, perché di “giustizia giusta” – in effetti uno degli argomenti di elezione dell’Associazione – si discute continuamente nel nutrito gruppo tematico di associati e amici, sottili giuristi o cittadini in altro affaccendati, accomunati da sensibilità ed interesse civico.
Eravamo a Milano; il nostro primo incontro in presenza, inebriati dal ritorno alla vita “normale” dopo la sofferenza causata dall’isolamento per l’emergenza pandemica; una sofferenza in certa misura alleggerita dalla vita nelle nostre belle case, calde, pulite, per due mesi sorprendentemente assolati, a contatto con le sole persone che amiamo di più.
La vita in carcere, se solo si pensi quanto abbiamo patito la privazione della libertà a condizioni privilegiate, è una condizione terribile per chiunque: per i criminali efferati, per gli omicidi, per chi ha violato regole di condotta (medici, conducenti, ingegneri…) o per i colletti bianchi; figuriamoci per chi è innocente. Ogni attività dell’uomo contempla, in effetti, la possibilità di errore.
Capita anche quello giudiziario, che però ha conseguenze umanamente assai dure da sopportare. Proprio per scongiurare l’evenienza il sistema è concepito di guisa tale da lasciare, piuttosto impunito un colpevole che costringere un innocente al carcere.
Colpevole ogni oltre ragionevole dubbio: è l’accertamento il necessario presupposto della sentenza di condanna. Eppure, gli innocenti cui è imposta questa esperienza sono ormai moltissimi, come abbiamo raccontato nei Base caffè del lunedì mattina, e come è emerso negli incontri che – con Veronica Rossetto, Monica Colombera, la Presidente Emanuela Girardi e i nostri celebri ospiti: giornalisti, giuristi e parlamentari – abbiamo tenuto tutti i mercoledì di maggio e giugno. Soprattutto perché si fa grande abuso della carcerazione preventiva.
Più in generale, sul finire del secolo scorso, in Italia come in altri Paesi occidentali, occorrendo – per molteplici ragioni che in questa sede non è possibile illustrare – non solo dei responsabili ma anche dei colpevoli, il legislatore ha notevolmente ampliato la sfera di intervento del diritto penale, che da strumento eccezionale – di extrema ratio o ulteriormente sanzionatorio – è diventato il principale meccanismo di controllo sociale. A causa di ciò le democrazie hanno subito una radicale trasformazione, la cui accertata principale conseguenza è l’estensione del potere giudiziario, cui fino a qualche decennio fa si chiedeva anzitutto di pacificare i rapporti sociali e che oggi si trova a ordinare il mondo delle imprese, della politica, della famiglia.
C’è, allora, bisogno di un segnale deciso per un’inversione di tendenza. Per questo ci siamo convinti a sostenere questo referendum: il voto è un fatto politico, e solo sterile è ridursi a sminuzzare i quesiti e discettare sull’opportunità del mezzo o sulle conseguenze dell’abrogazione di norme che di per sé non sono tutte sbagliate. L’auspicata “rivoluzione copernicana” non deriverebbe, infatti, immediatamente, dalla vittoria del sì, ma un esito del genere consentirebbe di intraprendere, finalmente, il necessario cammino, lasciando alle spalle le cicatrici degli anni bui del terrorismo, della mafia, delle stragi, fino alla decapitazione di una intera classe dirigente.
*Rispettivamente, coordinatrice del gruppo “Giustizia giusta” e coordinatore nazionale di Base Italia
Sosteniamo il Sì per una “rivoluzione” che superi la dittatura del panpenalismo
di TIZIANA SERRANI E MARCO BENTIVOGLI*
Non sapevamo che ci sarebbe stato il silenzio assoluto fino a qualche giorno prima del voto, quando a suo tempo abbiamo deciso di impegnarci sui referendum.
È stato facile, per tutti noi di Base Italia, comprendere di non poterne fare a meno, perché di “giustizia giusta” – in effetti uno degli argomenti di elezione dell’Associazione – si discute continuamente nel nutrito gruppo tematico di associati e amici, sottili giuristi o cittadini in altro affaccendati, accomunati da sensibilità ed interesse civico.
Eravamo a Milano; il nostro primo incontro in presenza, inebriati dal ritorno alla vita “normale” dopo la sofferenza causata dall’isolamento per l’emergenza pandemica; una sofferenza in certa misura alleggerita dalla vita nelle nostre belle case, calde, pulite, per due mesi sorprendentemente assolati, a contatto con le sole persone che amiamo di più.
La vita in carcere, se solo si pensi quanto abbiamo patito la privazione della libertà a condizioni privilegiate, è una condizione terribile per chiunque: per i criminali efferati, per gli omicidi, per chi ha violato regole di condotta (medici, conducenti, ingegneri…) o per i colletti bianchi; figuriamoci per chi è innocente. Ogni attività dell’uomo contempla, in effetti, la possibilità di errore.
Capita anche quello giudiziario, che però ha conseguenze umanamente assai dure da sopportare. Proprio per scongiurare l’evenienza il sistema è concepito di guisa tale da lasciare, piuttosto impunito un colpevole che costringere un innocente al carcere.
Colpevole ogni oltre ragionevole dubbio: è l’accertamento il necessario presupposto della sentenza di condanna. Eppure, gli innocenti cui è imposta questa esperienza sono ormai moltissimi, come abbiamo raccontato nei Base caffè del lunedì mattina, e come è emerso negli incontri che – con Veronica Rossetto, Monica Colombera, la Presidente Emanuela Girardi e i nostri celebri ospiti: giornalisti, giuristi e parlamentari – abbiamo tenuto tutti i mercoledì di maggio e giugno. Soprattutto perché si fa grande abuso della carcerazione preventiva.
Più in generale, sul finire del secolo scorso, in Italia come in altri Paesi occidentali, occorrendo – per molteplici ragioni che in questa sede non è possibile illustrare – non solo dei responsabili ma anche dei colpevoli, il legislatore ha notevolmente ampliato la sfera di intervento del diritto penale, che da strumento eccezionale – di extrema ratio o ulteriormente sanzionatorio – è diventato il principale meccanismo di controllo sociale. A causa di ciò le democrazie hanno subito una radicale trasformazione, la cui accertata principale conseguenza è l’estensione del potere giudiziario, cui fino a qualche decennio fa si chiedeva anzitutto di pacificare i rapporti sociali e che oggi si trova a ordinare il mondo delle imprese, della politica, della famiglia.
C’è, allora, bisogno di un segnale deciso per un’inversione di tendenza. Per questo ci siamo convinti a sostenere questo referendum: il voto è un fatto politico, e solo sterile è ridursi a sminuzzare i quesiti e discettare sull’opportunità del mezzo o sulle conseguenze dell’abrogazione di norme che di per sé non sono tutte sbagliate. L’auspicata “rivoluzione copernicana” non deriverebbe, infatti, immediatamente, dalla vittoria del sì, ma un esito del genere consentirebbe di intraprendere, finalmente, il necessario cammino, lasciando alle spalle le cicatrici degli anni bui del terrorismo, della mafia, delle stragi, fino alla decapitazione di una intera classe dirigente.
*Rispettivamente, coordinatrice del gruppo “Giustizia giusta” e coordinatore nazionale di Base Italia
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