A distanza di tre anni dall’inchiesta che ha fatto gridare allo scandalo e ormai diventata simbolo della violazione del principio di presunzione di innocenza, è iniziato ieri a Reggio Emilia il processo “Angeli e Demoni”, sul presunto sistema di affidi illeciti di minori nella Val d'Enza. Un processo già celebrato sulla stampa e annunciato ieri da titoli di giornali che davano conto, con certezza, del “furto” di bambini compiuto dai servizi sociali della Val d’Enza.

L’udienza di ieri è stata dedicata alla costituzione delle parti civili e all’ammissione dei responsabili civili, al termine delle quali il giudice ha rinviato tutto al 16 dicembre. Il motivo di tale slittamento è legato anche al rinnovo del collegio: il presidente e uno dei giudici a latere, infatti, sono già formalmente trasferiti in altra sede. Un avvicendamento che ha subito messo in allerta le associazioni sul rischio di uno slittamento del processo, che ora ripartirà a dicembre davanti ad un altro collegio, che riprenderà in mano il dibattimento a partire dalle eccezioni preliminari.

Nessuno dei 17 imputati che hanno scelto il rito ordinario, ieri, era presente in aula. Tra i principali imputati c’è Federica Anghinolfi (difesa da Oliviero Mazza e Rossella Ognibene), ex dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza, alla quale la procura contestava 64 capi d’imputazione sui 108 totali, dalla frode processuale alla violenza privata, passando per falsa perizia ed abuso d’ufficio. Per lei il gup, a novembre scorso, ha disposto l’assoluzione per due accuse di falso ideologico, così come per il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, inizialmente bollato dalla stampa come “ladro di bambini”, ma finito a processo con l’accusa di abuso d’ufficio.

La Corte, presieduta dal giudice Simone Devoto Medioli, a latere Chiara Alberti e Michela Caputo, ha respinto per vizi di forma la costituzione di parte civile dell'ordine regionale Emilia- Romagna degli assistenti sociali, l'associazione Gens Nova e un padre imputato in un altro processo per abusi sulla figlia, per il quale l’accusa ha chiesto due giorni fa una condanna a sei anni. Un caso non connesso ai fatti della Val d’Enza, hanno evidenziato i giudici, nonostante secondo l’uomo la figlia sarebbe stata condizionata dai Servizi sociali dell’Unione dei Comuni e dalle sedute di psicoterapia svolte dalla Onlus Hansel & Gretel. Ma tale psicoterapia non ci sarebbe mai stata e nessuno degli assistenti sociali coinvolti nel caso della minore è a processo in “Angeli & Demoni”. Sono 31, in totale, le parti civili costituite, tra le quali l’Ordine nazionale degli assistenti sociali. Ammessi come eventuali responsabili civili in caso di condanna gli enti datori di lavoro dei vari imputati, ovvero l’Asl di Reggio Emilia, l’Asp Carlo Sartori, l’Unione dei Comuni della Val d’Enza e la cooperativa Creativ Cise, presso la quale lavoravano le educatrici imputate nel processo.

«Mi aspetto che venga finalmente affermata la verità, cioè che il mio assistito ha sempre avuto un gran impegno sul tema della tutela dei minori e la costruzione accusatoria che è stata fatta attorno a lui è frutto probabilmente di interpretazioni sbagliate e forse di errori di qualcuno, certo non riconducibili a lui. Il suo è un impegno personale, umano e politico, fuori completamente da ogni altra logica. Ed è quello che ha sempre detto fin dall’inizio - ha commentato all’Agi l’avvocato di Carletti, Giovanni Tarquini -. Da parte nostra c’è semplicemente la prospettiva di arrivare finalmente a parlare nel merito di questa vicenda, dopo aver superato tutti questi passaggi formali».

L’indagine sugli affidi in Emilia Romagna ha rappresentato un vero e proprio buco nero per la politica e l’informazione italiane. Una vicenda iniziata nel 2018 e che ha fatto irruzione nella campagna elettorale per le regionali in Emilia provocando un vero e proprio dispiegamento di forze contro il Pd, reo, in quell’occasione, di avere tra i propri tesserati il sindaco indagato, anche se per fatti non legati agli affidi dei minori. E Bibbiano, all’improvviso, si ritrovò sconvolta e sulla bocca di tutti, complice anche la stampa, che ribattezzò l’indagine dandole il nome del piccolo centro emiliano. M5S e Lega, ai tempi insieme al governo, piombarono lì, scatenando una vera e propria tempesta mediatica contro il Partito democratico e dando il là ad una campagna discriminatoria contro gli assistenti sociali, da quel momento in poi minacciati, inseguiti e screditati.

Ma a porre l’accento sulle conseguenze nefaste della gogna mediatica era stato anche il presidente vicario della Corte d’Appello di Bologna, Roberto Aponte, che nella propria relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario aveva evidenziato come la «martellante campagna mediatica ha esposto tutto il sistema della Giustizia minorile e familiare, come era prevedibile, al sospetto generalizzato e alle rivendicazioni di soggetti interessati».

Aponte aveva ricordato la segnalazione dell’allora presidente del Tribunale per i Minorenni Giuseppe Spadaro, che aveva sottolineato come, durante le indagini, «il lavoro di tutti i magistrati dell’Ufficio sia stato fortemente e negativamente condizionato in termini di delegittimazione dai riflessi riverberati dalle deprecabili fughe di notizie nonché da una vera e propria strumentalizzazione, ad opera di gran parte dei media, dell’inchiesta» in questione; strumentalizzazione che ha provocato «lo scatenarsi del triste fenomeno del cosiddetto odio del web, nonché una vera e propria gogna mediatica» nei confronti dei magistrati del Tribunale Minori, «vittime di innumerevoli episodi di minacce che, comunque, non hanno minimamente scalfito il sereno svolgimento dell’attività giurisdizionale dei colleghi».