Professor Cazzola, che idea si è fatto sulla direttiva europea in materia di salario minimo?

Quella di un colpo al cerchio e uno alla botte. Vi è un’indicazione non vincolante, il che consente ai diversi Paesi di intervenire con la necessaria flessibilità. Sono confermate anche le due opzioni consentite che tengono conto delle caratteristiche dei sistemi vigenti nelle diverse situazioni nazionali: non solo la legge ma anche i contratti. In teoria la seconda ipotesi sarebbe quella più consona all’esperienza italiana, ma è molto difficile trovare una modalità per rendere i contratti validi erga omnes, al di fuori di quanto previsto dall’articolo 39 della Costituzione. Poi bisognerebbe passare per una legge sulla rappresentanza, che è una chimera. Le parti non sono neppure riuscite ad applicare il testo unico, che restava nell'ambito pattizio. Figuriamoci una legge.

Dunque non pensa che il dibattito attuale tra Confindustria, sindacati e governo possa sfociare in un accordo tra le parti che accontenti tutti

Un accordo sarebbe auspicabile e possibile. Ma non credo che ci si arriverà per l’indisponibilità sostanziale dei sindacati, che ritengono di ottenere di più attraverso la pressione sulle forze politiche, il governo e il Parlamento. Quanto alla Confindustria, se è in grado di ragionare in prospettiva si accorgerebbe di poter ottenere un vantaggio. Alla fine il salario minimo finisce per togliere base economica ai minimi contrattuali e quindi anche ai contratti nazionali. Il punto nodale della contrattazione del salario diventerà quindi l’azienda e il territorio.

Su quali cifre dovrebbe attestarsi il salario minimo e quali presupposti dovrebbero essere presenti perché non risulti controproducente?

In Senato c’è un testo unificato di Nunzia Catalfo in cui erano indicati 9 euro orari lordi. Attualmente sono circa il 13 per cento i lavoratori che percepiscono una paga inferiore, mentre il 6,4 per cento ricevono meno di 8 euro l’ora. Quanto ai costi per le imprese i dati fanno “tremare le vene ai polsi”: 4 miliardi nell’ipotesi di 9 euro lordi. C’è anche da dire che i 9 euro lordi ( che quindi sono 9,7) corrisponderebbero all’ 87 per cento del salario medio nazionale.

Di pari passo va avanti anche la battaglia sul reddito di cittadinanza, con Fratelli d’Italia e Italia Viva che vorrebbero abolirlo. Pensa che le due misure siano in contrapposizione o possono convivere?

Il RdC e il salario minimo hanno platee di riferimento differenti. Il primo è uno strumento di inclusione sociale, il secondo è un sostegno al lavoro povero. Io non sono per abolire il RdC, ma l’esperienza ha messo in evidenza l’incompatibilità tra gli obiettivi che gli sono affidati: combattere la povertà, svolgere una funzione di politica attiva del lavoro, creare occupazione stabile. Il reddito di cittadinanza deve essere solo uno strumento di inclusione sociale, di contrasto alla povertà.

Come si può migliorare la misura?

I percettori del RdC ritenuti abili al lavoro non sono occupati perché non sono occupabili, in quanto sprovvisti dei requisiti minimi per poter svolgere una prestazione lavorativa. Sarebbe molto più utile rimandarli a scuola e adibirli a lavori socialmente utili. Come previsto dal reddito di inclusione, entrato in vigore pochi mesi prima di essere travolto dalla marea grillina.