Accadono in queste ore cose che devono far riflettere; che spero facciano riflettere. La prima è che assieme a quasi duecento militanti radicali e sostenitori del Sì ai cinque referendum per una giustizia più giusta, sono in sciopero della fame il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e la tesoriera del Partito radicale Irene Testa. C’è solo di che rallegrarsi per il fatto che il leghista Calderoli, cito le sue parole, da una deriva ultra giustizialista sia approdato a una sponda garantista. Che il leghista Calderoli abbia fatto suoi i metodi della lotta che ci ha insegnato Marco Pannella: dialogo, confronto serrato, dibattito, conoscenza, partecipazione. È positivo, confortante. Che non si sia colta e valorizzata questa ibridazione è segno di grande miopia, da parte di analisti, commentatori, opinionisti. Tutti a rimproverare, e anche giustamente, le involuzioni e le inaccettabili prese di posizione della Lega; poi quando accade che un esponente leghista indossa i panni del rispetto, del diritto, della ragione, ecco che lo si ignora; gli si riserva lo stesso trattamento riservato a Marco Pannella e ai radicali. Quando i leghisti fanno leva sulla pancia dell’elettorato e i suoi più bassi istinti, grande visibilità. Quando fanno loro il linguaggio civile della ragione, censura. È questo quello che i mezzi di comunicazione “insegnano”. Il secondo motivo di riflessione riporta ad anni fa, quando presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai era l’allora parlamentare di Alleanza nazionale Francesco Storace. Vigeva una censura nei confronti del Partito radicale simile a quella di oggi. Storace ritenne di dover insorgere. Pronunciò una frase che gli fa onore: riconobbe che Pannella e il Partito radicale erano vittime di «un genocidio politico culturale». Storace ora ha lasciato la politica attiva, è tornato alla sua passione di giornalista, è editorialista e inviato di “Libero”. Su questo giornale firma un articolo che ci riporta a quella definizione. Osserva che solo Enrico Mentana nel suo telegiornale si preoccupa di dare voce e conoscenza ai referendum per una giustizia più giusta; al contrario del servizio pubblico Rai: «Nel panorama televisivo, Mentana finora è l’unico che ha deciso di "osare" nella sfida alla censura sui quesiti in materia di giustizia. Sembra che sia passato un ordine: non parlatene per non far raggiungere il quorum del 50% di affluenza, già sabotato dal governo Draghi con la decisione di far votare in un solo giorno anziché due. Mentana ha dimostrato di voler essere libero da condizionamenti e finge stupore se glielo fai notare: “Non so, non seguo gli altri”. Eppure, avrebbe dovuto pensarci il servizio pubblico radiotelevisivo. Che ancora una volta si fa soppiantare da un’emittente privata. Sulla Rai (e neanche su Mediaset) non c’è traccia di trasmissioni dedicate - in orari decenti - ai referendum di domenica. A La7 almeno una ci sarà. È incredibile. A viale Mazzini sono alle prese con le nomine...». No, invece è credibilissimo quello che accade, caro Storace. E non da ora, e con rarissime eccezioni. A proposito: il sindacato dei giornalisti Rai, nulla da dire? E la Federazione Nazionale della Stampa? I comitati di Redazione? Va bene così?