Un po’ prevenuto – lo confesso – per via dell’abituale simpatia che mostra a Matteo Salvini ogni volta che lo ospita alla sua trasmissione sulla 7, per cui ho subito pensato che ne avesse voluto in qualche modo raccogliere la staffetta andando a Mosca al posto suo, debbo chiedere il massimo della solidarietà – come il suo nome – a Giletti per l’avventura capitatagli ieri sera nella trasferta televisiva nella capitale russa.
Dove peraltro è anche svenuto, o quasi, in diretta per il troppo freddo preso ad ammirare e fare ammirare al suo pubblico le suggestive torri del Cremlino di mano anche italiana. Che Alessandro Sallusti dalla sua postazione italiana è stato forse un po’ troppo sbrigativo a liquidare come “merda” – scusate il termine – per le brutte abitudini di chi le ha troppo a lungo frequentate. Pur con tutti i limiti di una missione impossibile come quella di convincere alla pace chi non ne ha voglia, e ogni giorno fa qualcosa in più per allontanarla, e nonostante anche le difficoltà tecniche del suo collegamento videotelefonico, con la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, il bravo Giletti è riuscito – non credo a sua insaputa, come qualcuno potrebbe poco amichevolmente osservare – a infilare un bel gol nella rete della signora. Che con lui peraltro era stata e ancor più poi è diventata scortese: sino a dargli del “bambino” e del “marziano” per insistere a parlare di pace in Ucraina, che si sarebbe meritato tutto quello che ha perduto, ed altro ancora si guadagnerà, di sangue e distruzioni, se non si toglierà dalla “dipendenza” degli odiati americani e, più in generale, occidentali.
Il gol di Giletti, fra un’ammissione e l’altra – poveretto – di tutte le colpe possibili e immaginabili dell’Occidente, a scorrere indietro negli anni sin forse alla creazione dello stesso mondo, è consistito nel rinfaccio alla sventurata di manzoniana memoria della dichiarazione con la quale, sempre in veste di portavoce del ministro degli Esteri russo, escluse pubblicamente l’intervento militare che stava invece per cominciare contro l’Ucraina, quasi ad horas. Portavoce o portamenzogna? O semplicemente disinformata, come forse il suo stesso ministro nei rapporti con Putin e con i colleghi di governo? Vallo a sapere.
Certo, per i putiniani non sono tempi facili, per quanto benedetti da un Patriarca declassato da Papa Francesco a “chierichetto” del Cremlino. Più comoda è la loro vita forse solo in Italia, per quanto si sentano perseguitati con “liste di proscrizione” rimproverate addirittura al Corriere della Sera da una confluenza di testate a dir poco sorprendente: dal Fatto Quotidiano di Marco Travaglio alla Verità di Maurizio Belpietro e persino al Giornale della famiglia Berlusconi.
Giletti e la dura vita dei putiniani d’Italia…
Un po’ prevenuto – lo confesso – per via dell’abituale simpatia che mostra a Matteo Salvini ogni volta che lo ospita alla sua trasmissione sulla 7, per cui ho subito pensato che ne avesse voluto in qualche modo raccogliere la staffetta andando a Mosca al posto suo, debbo chiedere il massimo della solidarietà – come il suo nome – a Giletti per l’avventura capitatagli ieri sera nella trasferta televisiva nella capitale russa.
Dove peraltro è anche svenuto, o quasi, in diretta per il troppo freddo preso ad ammirare e fare ammirare al suo pubblico le suggestive torri del Cremlino di mano anche italiana. Che Alessandro Sallusti dalla sua postazione italiana è stato forse un po’ troppo sbrigativo a liquidare come “merda” – scusate il termine – per le brutte abitudini di chi le ha troppo a lungo frequentate. Pur con tutti i limiti di una missione impossibile come quella di convincere alla pace chi non ne ha voglia, e ogni giorno fa qualcosa in più per allontanarla, e nonostante anche le difficoltà tecniche del suo collegamento videotelefonico, con la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, il bravo Giletti è riuscito – non credo a sua insaputa, come qualcuno potrebbe poco amichevolmente osservare – a infilare un bel gol nella rete della signora. Che con lui peraltro era stata e ancor più poi è diventata scortese: sino a dargli del “bambino” e del “marziano” per insistere a parlare di pace in Ucraina, che si sarebbe meritato tutto quello che ha perduto, ed altro ancora si guadagnerà, di sangue e distruzioni, se non si toglierà dalla “dipendenza” degli odiati americani e, più in generale, occidentali.
Il gol di Giletti, fra un’ammissione e l’altra – poveretto – di tutte le colpe possibili e immaginabili dell’Occidente, a scorrere indietro negli anni sin forse alla creazione dello stesso mondo, è consistito nel rinfaccio alla sventurata di manzoniana memoria della dichiarazione con la quale, sempre in veste di portavoce del ministro degli Esteri russo, escluse pubblicamente l’intervento militare che stava invece per cominciare contro l’Ucraina, quasi ad horas. Portavoce o portamenzogna? O semplicemente disinformata, come forse il suo stesso ministro nei rapporti con Putin e con i colleghi di governo? Vallo a sapere.
Certo, per i putiniani non sono tempi facili, per quanto benedetti da un Patriarca declassato da Papa Francesco a “chierichetto” del Cremlino. Più comoda è la loro vita forse solo in Italia, per quanto si sentano perseguitati con “liste di proscrizione” rimproverate addirittura al Corriere della Sera da una confluenza di testate a dir poco sorprendente: dal Fatto Quotidiano di Marco Travaglio alla Verità di Maurizio Belpietro e persino al Giornale della famiglia Berlusconi.
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