Quando si esamina un testo tratto dalla comune pratica giudiziaria, serve individuarne le “debolezze logiche”, gli “errori espositivi” e, soprattutto, le “inutili oscurità”. A dirlo è Gianrico Carofiglio, ex magistrato ed ex parlamentare del Pd, da diversi anni scrittore di molti romanzi di successo.Carofiglio è fra gli ideatori di un corso di “scrittura per giuristi”, il primo nel suo genere. L’evento formativo, aperto quindi ad avvocati, magistrati, cultori del diritto, si terrà il prossimo 15 giugno a Milano ed è già stato accreditato ai fini della formazione professionale continua dal locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Il principale obiettivo che il corso si propone di raggiungere, fanno sapere gli organizzatori, è quello di "sviluppare le abilità relative all’uso della lingua scritta, e parlata, nell’ambito della disciplina giuridica", fornendo quindi agli operatori del diritto "un metodo” di lavoro. La giornata di studio, dopo il saluto del presidente del Coa, l'avvocato Vinicio Nardo, si aprirà con una sessione dedicata alla "riflessione sul linguaggio dei giuristi" al fine di evidenziarne "i difetti comunicativi maggiormente frequenti". A seguire, un focus sulle "regole fondamentali per una buona scrittura giuridica nella dimensione argomentativa e narrativa". Non verranno trascurati, poi, gli aspetti interdisciplinari relativi ai "mutamenti del linguaggio e pratiche comunicative contemporanee". Una sessione, infine, sarà interamente dedicata al "dovere processuale di sinteticità degli atti del processo telematico". La scrittura degli atti giudiziari è un argomento quanto mai attuale. Gli esiti non proprio esaltanti delle prove scritte dell'ultimo concorso per magistrati ordinari, con meno del 5 percento di idonei che non consentono nemmeno di coprire i posti banditi, hanno messo in luce molte lacune.Nel caso delle citate prove scritte, da svolgersi in quattro ore invece delle tradizionali otto, la difficoltà di sintesi da parte dei candidati è stata fra le principali cause della debacle.La sintesi è ormai un prerequisito fondamentale. Nel processo amministrativo già da diverso tempo vige la regola secondo la quale un ricorso non può superare un determinato numero pagine. Palazzo Spada, sul punto, ha anche fissato dei paletti sul tipo di carattere da utilizzare, le sue dimensioni, la spaziatura. Una forte accelerazione sul fronte della sinteticità dell'atto è stata determinata dall’avvio del processo telematico, inizialmente previsto nel civile, poi esteso agli altri riti. L'imprescindibilità della lettura "a video" dell'atto da parte del giudice ha dato il via ad una rivoluzione in un settore che per decenni non era stato interessato da cambiamenti significativi: è ben diverso, infatti, leggere su uno schermo un atto formato da una decina di pagine, rispetto ad un altro che di pagine ne ha un centinaio. Il tema è stato oggetto di accese discussioni e polemiche che in questi anni il Dubbio ha cercato di raccontare. Vedasi la questione delle copie di ‘cortesia’ richieste dai giudici agli avvocati. Tornando, invece, a Carofiglio, sempre a proposito di scrittura, vale la pena ricordare quando venne chiamato nel 2018 dall’allora vice presidente del Csm Giovanni Legnini per far parte del gruppo di lavoro per la stesura della delibera sulle "Linee guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”. Le "buone prassi" di Palazzo dei Marescialli, incentrate sulla trasparenza e sulla comprensibilità, possono essere considerate le antesignane delle recenti disposizioni in materia di "presunzione di non colpevolezza": rileggendole, ad anni di distanza, si ritrovano molti dei concetti ribaditi nel ddl Cartabia. Come capita quasi sempre in caso di provvedimenti che non prevedono sanzioni in caso di inadempienza, la delibera è stata però totalmente disattesa da parte di alcuni loquacissimi procuratori e dei loro cronisti di riferimento.