Ogni volta che leggo o sento Luciano Violante alle prese con la giustizia, dei cui temi era responsabile nel Pci della deriva un po’ giustizialista, tanto da essere chiamato con approssimazione “il capo del partito dei pubblici ministeri”, e Francesco Cossiga lo bollava dal Quirinale come “un piccolo Visinskij”, il procuratore generale dell’Unione Sovietica degli anni delle “purghe” di Giuseppe Stalin; ogni volta, dicevo, che lo leggo o lo sento ricordando i tempi passati, non mi sento di rinfacciare all’ex presidente della Camera le vecchie posizioni, vere o presunte che fossero nella esasperazione delle polemiche politiche. Mi sento piuttosto di apprezzare la capacità avuta di aggiornare le sue valutazioni dopo essere stato, a mio avviso, troppo ottimista nel giudicare tanti magistrati che si sarebbero poi rivelati anche ai suoi occhi non proprio all’altezza dei loro compiti.

Gli uomini e le cose si scoprono sul campo. E le delusioni sono tanto più cocenti quanto più si sono rivelate grandi, e gravi i loro effetti. Memorabile per efficacia caustica delle sue parole rimane l’auspicio espresso da Violante, dopo i troppi e troppo evidenti eccessi della falsa epopea di “Mani pulite”, quando i giornali uscivano tutti allo stesso modo sulle indagini di Milano e altrove contro il finanziamento illegale dei partiti e la corruzione che spesso poteva accompagnarla, “almeno di una separazione delle carriere fra giornalisti e magistrati”, cacciatori e dispensatori delle notizie giudiziarie. Ben detto, onorevole Violante, perché anche noi giornalisti abbiamo commesso errori, e continuiamo a commetterne, prestandoci alle rappresentazioni quanto meno parziali, se non addirittura false, di fatti e inchieste nella prospettiva dei processi non in tribunale ma nelle piazze. Dove già Aldo Moro nel 1977, prima di essere ucciso, “processato” dai terroristi in una “prigione del popolo”, avvertì il rischio che finisse la politica. Non dimentico di Violante neppure il fastidio, direi lodevole, col quale reagì ai metodi di indagine, da lui stesso sperimentati, a Palermo sulle presunte trattative fra lo Stato e la mafia nella stagione delle stragi, quando anche l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dovette intervenire a gamba più o meno tesa contro inquirenti troppo invasivi, diciamo così. E, a proposito di Quirinale, trovai disdicevole che da alcune parti si cercasse già allora di attribuire le distanze che via via Violante aveva preso da certi inquirenti, ma anche da giudici, sospettandolo di coltivare ambizioni quirinalizie, appunto, puntando sull’appoggio di parti politiche opposte a quelle di sua provenienza.

Questa lunga premessa mi permette di apprezzare l’annuncio di Violante appena raccolto dal Dubbio del suo voto favorevole al referendum del 12 giugno abrogativo della cosiddetta e famosa legge Severino, più nota per l’abuso che se ne fece nel 2013, fra i dubbi con onestà espressi dallo stesso Violante, per espellere dal Senato Silvio Berlusconi, a scrutinio palese e con applicazione retroattiva: l’uno e l’altra voluta o condivisa personalmente dal presidente dell’assemblea che era stato un fior di magistrato come Pietro Grasso. Ma più ancora di quello scempio, altri ne ha permessi quella legge decapitando amministrazioni locali senza una condanna definitiva, alla faccia di elettori e quant’altri. Di quella legge nessuno ha poi sentito, e sente ancora il bisogno, di scusarsi, pur portando il nome peraltro di una giurista, oltre che di un avvocato e guardasigilli del governo addirittura tecnico, non politico, di Mario Monti. Giustamente Violante ha ricordato che “certe responsabilità spettano ai partiti” e “non possiamo affidare alla magistratura compiti che non le competono”. È un po’ quello che ai tempi di Mani pulite alcuni dicevano degli abusi della carcerazione preventiva, causati pure dalla leggerezza con la quale i politici avevano consentito il ricorso alle manette in corso d’indagini.

Non ho invece condiviso il timore espresso da Violante sulla natura un po’ punitiva verso i magistrati attribuibile agli altri referendum sulla giustizia ormai alle porte. Per i magistrati non è mai il tempo opportuno per intervenire su di loro senza diventare vittime della politica pur alla ricerca dello spazio perduto. Ma va detto con onestà e franchezza che non meno di questa impressione condivisa da Violante gioca contro i referendum la distrazione che si è presa - giocando con la politica estera e con la guerra in Ucraina- il leader leghista che li promosse con i radicali, in un accoppiamento politico che proprio per la sua novità clamorosa, ricordando il cappio leghista alla Camera nel 1993, avrebbe dovuto richiedere un maggiore impegno di Matteo Salvini. E ciò senza nulla togliere, per carità, alla generosità del digiuno di protesta di Roberto Calderoli, dimostratosi più convinto della causa.