«Posso fare tante cose. Ci sono tanti magistrati potenti che possono fare solo i magistrati. Io posso fare tante cose, anche il contadino: ho una buona manualità». Chissà se pronunciando queste parole a Otto e mezzo, pochi giorni fa, Nicola Gratteri aveva in mente la parabola professionale di Antonio Di Pietro, che da pm amatissimo dalla gente si è ritirato in campagna, dopo una lunga parentesi in politica. Su una sua possibile discesa in campo il procuratore di Catanzaro smentisce, quel che è certo però è che da qualche tempo il magistrato calabrese riempie i palinsesti delle Tv per offrire il suo punto di vista ai telespettatori. Che si parli di lotta alla ’ndrangheta (specialità in cui Gratteri ha ben pochi rivali su piazza), di critica politica a un governo a suo dire indifferente al contrasto alla criminalità organizzata o di accusa nei confronti di un sistema giudiziario corrotto dal correntismo poco importa: il procuratore di Catanzaro ha voglia di parlare e anche tanto. Al Maurizio Costanzo show come da Lilly Gruber, senza dimenticare di presenziare a Piazza Pulita.

Ovviamente Nicola Gratteri è uno di quegli ospiti dal profilo così prestigioso che qualsiasi programma televisivo o giornale vorrebbe intervistare, meno scontato però è sentirsi dire sempre sì dal diretto interessato. Perché la sovraesposizione mediatica è sempre un’arma a doppia taglio che un magistrato di quel livello preferisce schivare.

Ma Gratteri ha bisogno di comunicare direttamente con l’opinione pubblica, col popolo. Soprattutto dopo la mancata promozione alla guida della Direzione nazionale antimafia. Un posto che l’investigatore calabrese considerava probabilmente come la naturale chiusura di una carriera brillante. «Ho fatto domanda alla Procura antimafia perché pensavo di avere l’esperienza necessaria, facendo da sempre contrasto alla criminalità organizzata: non esiste nessun magistrato al mondo che abbia fatto più indagini di me sul traffico internazionale di stupefacenti e sulle mafie», ha spiegato davanti alle telecamere di Otto e mezzo.

Motivo della bocciatura? La troppa indipendenza, l’estraneità alle dinamiche dell’Anm, sembra suggerire lo stesso Gratteri quando argomenta: «Sicuramente nella nomina alla Procura nazionale antimafia chi è iscritto a una corrente è molto molto avvantaggiato. Io questo già lo sapevo ma ho fatto la scelta di non iscrivermi». Perché il procuratore capo di Catanzaro si propone davvero come il magistrato più anti sistema in circolazione, un vero e proprio alieno nel mondo togato che lo percepisce come una bomba da disinnescare prima che faccia saltare tutti gli schemi.

Ma è come se Gratteri si fosse stancato di venir penalizzato per questa sua inafferrabilità e avesse deciso di utilizzare contro l’ostracismo del Csm l’arma di cui solo pochi suoi colleghi ancora dispongono: la popolarità. Quella che fino a poco tempo fa poteva ancora maneggiare con disinvoltura Piercamillo Davigo e che adesso forse il solo Gratteri può dire di possedere a certi livelli. È un’arma tutta politica e serve a rimuovere gli ostacoli interni, pressando con uno strumento esterno: l’opinione pubblica. E in una congiuntura così propizia, con la credibilità della magistratura ai minimi storici, non è detto che non funzioni. Anzi. Gratteri lo sa e vuole mostrarsi ai cittadini per come realmente si percepisce: un incontrollabile rottamatore messo ai margini dalla casta ed esposto alla vendetta delle mafie. Certo, mettere alle strette il Csm a furor di popolo sarà impresa tutt’altro che semplice, ma il procuratore di Catanzaro non ha grandi alternative per evitare un’altra delusione come quella della Dna.

Il tempo stringe e gli obiettivi possibili rimasti sul piatto non sono troppi: un posto nel nuovo Csm, magari sponsorizzato da qualche corrente anti corrente, a fare da «guastacarte», come dice lo stesso Gratteri; la guida di una procura prestigiosa, come quella di Napoli non ancora messa a bando; o un futuro senza toga, in Parlamento, il prossimo anno. Scenario, quest’ultimo, che il magistrato calabrese tende a escludere categoricamente, anche se in Tv continua ad attaccare il governo con una veemenza che neanche la leader dell’opposizione si sognerebbe di utilizzare.

Draghi? «Non pervenuto per quanto riguarda la giustizia e la sicurezza, mi sembra solo un buon esperto di finanza. Sul resto non tocca palla o se lo fa, mi preoccupa ancora di più perché non capisce che facendo così sfascia tutto». Cartabia? Nella sua «riforma c’è molta rabbia, è una sorta di resa dei conti tra la politica, che nel corso degli anni ha accumulato molta rabbia, e la magistratura», dice Gratteri. Che poi si scaglia pure contro una piccola iniziativa di civiltà: le casette dell’amore, dove ai detenuti è consentito di esprimere la propria affettività.

Il governo ha speso più «più di 28 milioni di euro per costruire le case dell’amore, un luogo dove i detenuti possono incontrarsi per 24 ore con moglie, marito e amanti», è il giudizio severissimo, ma probabilmente popolarissimo, di Gratteri. «Avete idea dei messaggi che possono essere mandati all’esterno grazie a questa idea?». No. Ma il messaggio che arriva fuori dalle mura togate è che se mai ci sarà un futuro politico per Gratteri non sarà esattamente progressista.