«Spero che stuprino le mogli degli avvocati - Voi dovete finire in carcere insieme a loro finché non morite - Vorrei vedere se si tratta della figlia del giudice e del avocato!!! Fate solo schifo e questo ti porta a fare giustizia da soli - Quando è evidente che gli avvocati fanno largo abuso di droghe...in galera anche voi - Questi avvocati vanno condannati sono tutti venduti - Avvocati di merda papponi - Dico a giudici e avvocati vi auguro di cuore che possa capitare ai vostri cari di fare la fine delle migliaia di ragazze violentate..e perché no uccise...ve lo auguro proprio»: questi allucinanti e gravemente minacciosi messaggi, che vi abbiamo riportato nell'originale italiano stentato, sono solo una minima parte di quelli apparsi nel 2019 tra i commenti delle pagine Facebook delle testate TusciaWeb e Tgcom24. Gli odiatori social avevano nel mirino tre avvocati di Viterbo - Domenico Gorziglia, Marco Valerio Mazzatosta, Giovani Labate - colpevoli, a loro dire, di assistere due giovani ex militanti di CasaPound arrestati nell'aprile del 2019 per lo stupro ai danni di una 37enne, avvenuto in un pub del capoluogo laziale. I due, usufruendo del rito abbreviato, sono stati condannati in via definitiva uno a 2 anni e 10 mesi, l'altro a 3 anni. Ma non è questo il punto. La questione riguarda l'immagine falsata che molte persone hanno del ruolo dell'avvocato. L'assimilazione tra l'avvocato e il suo assistito è una delle tante distorsioni che intaccano il ruolo del difensore nella società. Eppure come aveva scritto Ettore Randazzo in L'avvocato e la verità (Sellerio Editore Palermo), «solo i nemici della democrazia e della libertà possono temere l'avvocatura». Sempre di più in questi anni stiamo assistendo a vari tipi di attacchi verso coloro che esercitano un diritto costituzionalmente garantito. Dinanzi a questo scenario, cosa fare? Per i fatti di Viterbo, prontamente il presidente della Camera penale viterbese, Roberto Alabiso, presentò una denuncia querela, ipotizzando il reato di diffamazione aggravata presso la Procura della Repubblica, «a tutela della immagine personale e professionale non solo dei colleghi interessati al procedimento penale sopra accennato, ma anche e soprattutto per dare forza e dignità alla professione forense che nonostante il dettato costituzionale continua ad essere percepita come una sorta di complicità con gli assistiti» . L'avvocato Alabiso, nel suo esposto, aveva anche ricordato che la Cassazione con sentenza n.40083 del 6/9/2018 ha stabilito che «il profilo social dell'utente è luogo virtuale e la pubblicazione di commenti offensivi sulla bacheca Facebook costituisce una forma diffamatoria di comunicazione con più persone». Nonostante tutto questo, nel maggio 2020 la Procura di Viterbo ha fatto richiesta di archiviazione: «Si ritiene che il contenuto dei commenti costituisca manifestazione del tutto legittima dell'esercizio di critica, espressa, seppur con linguaggio e con toni aspri e polemici, a tratti utilizzando termini con accezioni indubitabilmente offensive, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem, potendo, le medesime critiche, dirsi ampiamente ricomprese entro i limiti di operatività della scriminante del diritto di critica».Quindi augurare stupri e morti ai parenti degli avvocati rientra del diritto di critica? Permetteteci di sollevare qualche dubbio, crediamo legittimo. Il presidente Alabiso, comunque, non demorde e presenta opposizione alla richiesta di archiviazione, scrivendo, tra l'altro, che «la sensazione sgradevole che si prova leggendo le motivazioni della richiesta di archiviazione è che la pm procedente si sia "adagiata" sul malcostume imperante tra giovani e meno giovani, di utilizzare espressioni fuori da ogni decente consesso civile». Inoltre, sottolinea il penalista, «consentire a chi ha indirizzato ingiurie, minacce e quant'altro, di superare indenne una situazione che, invece, andrebbe certamente sanzionata ed evidenziata come rimarchevole, volgare ed inaccettabile costituisce a parere di chi scrive una ulteriore beffa per tutti coloro i quali, come previsto dalla nostra Costituzione, si adoperano per il rispetto delle leggi, che non significa salvare chi ha commesso reati, ma al contrario vuol dire che ciascuno di noi merita un'adeguata difesa dal punto di vista tecnico, senza alcun coinvolgimento personale». Come andrà a finire lo si capirà l'8 giugno: l'avvocato del foro di Civitavecchia, Andrea Miroli, sosterrà le ragioni della Camera penale di Viterbo per opporsi all'archiviazione. A decidere sarà il gip che potrebbe ricordarsi che questi attacchi ormai non riguardano solo gli avvocati ma anche gli stessi giudici, sempre più spesso finiti nel mirino quando scarcerano, derubricano o assolvono. Si tratta di una battaglia di civiltà che dovrebbe vedere uniti avvocatura e magistratura.