La nomina di Matteo Zuppi a guida dei vescovi italiani è qualcosa che può cambiare non solo e non tanto gli equilibri attorno al Sacro Soglio, quanto incidere profondamente nella società italiana. Bisogna pensare che l’irruzione nella politica italiana di Silvio Berlusconi, figlia certo dell’esplosione della politica operata da Tangentopoli, ebbe la strada spianata nel corpo vivo del Paese dal capovolgimento operato, nel lontano 1983, al convegno Cei di Loreto. Vicenda post- concordataria complessissima, quella. Ma il cui esito, se lo si potesse dire in due parole, fu l’emarginazione dei cattolici democratici, e l’emergere di un certo “revisionismo conciliare”, ad opera di quello che, da quel momento, divenne un protagonista assoluto: Camillo Ruini. Che di Karl Wojtyla era il «braccio italiano».

Da Loreto, sempre semplificando molto vicende complesse fino all’arzigogolo, si cominciò a spostare a destra l’orientamento della società italiana. Creando così, certo non intenzionalmente, un impianto culturale ed etico su cui poi nel ’ 94 hanno potuto attecchire le nuove forze partitiche di centrodestra. Potendo attingere, soprattutto, a un pantheon di valori, a una cultura di cui - e tanto più allo stato nascente- erano privi.

Papa Bergoglio, alla vigilia della nomina, aveva chiesto per la presidenza della Cei «un bel cambiamento». E così è stato. Un bellissimo cambiamento, e i cui effetti si dispiegheranno per anni. Matteo Zuppi è stato il più votato dai vescovi, ma la decisione finale spettava al Papa. Ed era una decisione il cui profilo si era stagliato già dieci anni fa, quando Bergoglio nominò vescovo ausiliario di Roma il parroco di una delle più disperate periferie romane, Torre Angela. A Torre Angela, Matteo Zuppi aveva voluto fortissimamente andare (dovendo motivare fondatamente la sua decisione, in appositi colloqui con le gerarchie). Perché «un prete sta in strada, mica in salotto», e la meravigliosa basilica di Santa Maria in Trastevere, dove la domenica ad ascoltarlo accorrevano emarginati e tycoon, derelitti e potenti - e ognuno ricevendo da lui una parola e uno dei suoi celebri affettuosi sorrisi- seduti fianco a fianco sotto le volte romaniche che videro l’ordinazione sacerdotale di San Francesco, cominciava forse a stargli stretta. La vita del Vangelo è in strada, ama ripetere don Matteo.

Ma si sbaglierebbe a pensare alla comune, oleografica immagine del “prete di strada”, del prete da battaglia, che esaurisce la propria funzione nell’esercizio del francescanesimo quotidiano. Per capirlo, basta la prima dichiarazione di Zuppi, appena nominato: la sua, è “una Chiesa che sta per strada e cammina, che parla a tutti per raggiungere il cuore di tutti, e nella Babele di questo mondo parla l’unica lingua comprensibile: quella dell’amore”. Si torna alla lettera purissima del Vangelo, dunque: Cristo è amore. È Gesù Cristo che, nella storia dell’umanità, fa irrompere l’amore nello spazio pubblico. Ma il Vangelo è prassi sostenuta dal pensiero.

E in questo ritorno al magistero del Vangelo, che comporta anche un certo qual ritorno della Chiesa del Concilio Vaticano II, Zuppi è l’interfaccia perfetta di Bergoglio. Come il Papa ha scelto di non abitare tra le Logge di Raffaello ma a Santa Marta, così Zuppi da vescovo di Bologna non vive all’Arcivescovado ma nella Casa del Clero, con gli anziani sacerdoti in pensione. Come Bergoglio si affaccia ogni tanto a sorpresa in qualche bottega, o alza il telefono per parlare direttamente con qualcuno, così Zuppi gira per Bologna comunemente in bicicletta. E come Francesco, anche Matteo coltiva con passione il dialogo e il confronto con i laici.

In più, Zuppi ha una finissima intelligenza politica, e nulla gli sfugge della complessa vicenda italiana. Di certo, ha contribuito la sua formazione, essendo con Andrea Riccardi tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio - «l’Onu di Trastevere», come la chiamano a Roma- e tra gli artefici a metà degli anni Ottanta degli accordi di pace in Mozambico. Pare che tra i suoi primi atti, appena nominato, ci sia stato telefonare ai suoi predecessori, Ruini e Bagnasco, due personalità il cui profilo è notoriamente tra i più distanti dal suo. Ma appunto, oltre all’ésprit de geometrie, il nuovo presidente della Cei dispone anche dell’ésprit de finesse. Ha insomma la stoffa di un Papa, come dice Prodi.