Ha un complesso di sintomi psicopatologici del quale fanno parte alterazioni dell’umore, attivazione ansiosa del sistema dell’allerta, fenomeni dispercettivi, fenomeni neurovegetativi, disordini delle condotte. Attualmente è ristretto, in custodia cautelare, nella sezione psichiatrica del carcere di Benevento. Dai referti medici emerge che è a rischio suicidio e se non gli viene concessa una misura cautelare meno afflittiva potrebbe aggiungersi alla macabra lista delle morti in carcere. A segnalare il caso alla ministra della Giustizia a al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), è l’associazione Yairaiha Onlus. Si tratta di Francesco Domenico Sposato, il quale prima era assegnato alla Casa circondariale di Vibo Valentia e da poco trasferito presso la Casa circondariale di Benevento, nella sezione di Osservazione psichiatrica. Il detenuto Sposato, come si evince dalla copiosa documentazione medica, è affetto da crisi di ansia e disturbi di natura depressiva di livello moderato/grave, oltre a essere soggetto a un progressivo scadimento delle funzioni cognitive e da deperimento fisico. Il complessivo stato di salute di Sposato, in particolare i problemi di natura psicologica, costituiscono segnali importanti da non sottovalutare, in relazione a condotte suicidarie dello stesso.

Il detenuto ha un'ossessiva tendenza a pensieri di morte

L’associazione Yairaiha segnala infatti, all’interno della documentazione, l’ossessiva tendenza a pensieri di morte da parte del detenuto. Nella missiva rivolta alle autorità si sottolinea l’allarmante numero di detenuti che si sono tolti la vita dentro le mura, preoccupa la possibilità che anche il recluso Sposato si abbandoni a questa tragica fine. Considerata la molteplicità di decreti ministeriali e circolari amministrative sul tema della prevenzione dei suicidi in carcere e, in particolare, l’adozione del “Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie nel sistema penitenziario per adulti” (G.U. del 14/08/2017), che prescrive di monitorare il succedersi di situazioni potenzialmente stressanti al fine di valutare il rischio suicidario, l’associazione Yairaiha si unisce alla richiesta di sostituzione della misura cautelare in carcere con una meno afflittiva, avanzata dai difensori di Sposato.

Per le perizie è inadeguato il mantenimento dell’ordinario regime detentivo

A sostegno di tale richiesta, contribuiscono anche le conclusioni della stessa relazione peritale, in cui viene considerato inadeguato, alla luce delle condizioni di salute psicofisica del recluso, il mantenimento dell’ordinario regime detentivo, soprattutto ai fini diagnostico terapeutici. Per tale ragione, dubbi vengono avanzati in merito allo spostamento in una delle sezioni di Osservazione psichiatrica disponibili in locali attrezzati dell’Amministrazione penitenziaria per controlli più approfonditi, soprattutto in considerazione delle carenze strutturali e dell’inidoneità ad ospitare detenuti delle attuali sezioni presenti nelle province calabresi (ne è esemplificativa la condizione di quella dela Casa circondariale “G. Panzera” di Reggio Calabria). «A tal proposito – conclude Yairaiha Onlus - abbiamo ritenuto doverosa la predisposizione della presente segnalazione, nella speranza che le condizioni di salute del signor Sposato ricevano le adeguate attenzioni dalle competenti Autorità, con preghiera di immediato intervento». La vicenda di Sposato, conferma ancora una volta quanto sia disastroso il carcere per chi ha patologie psichiatriche che portano, quasi inevitabilmente se non si agisce subito, al suicidio. All’interno di un carcere, la salute mentale è più vulnerabile di quanto non accada nella società libera. Sono diversi gli studi che mostrano come nel sistema penitenziario la percentuale di soggetti affetti da patologie psichiatriche sia più elevata che all’esterno. I disturbi d’ansia generalizzata della fase iniziale, se il disadattamento persiste, possono diventare attacchi di panico e claustrofobia, quest’ultima data dallo spazio chiuso e invariato che può provocare sensazioni di compressione spaziale simili al panico claustrofobico. A lungo andare il contesto detentivo può causare al soggetto grave psicosi e senso di irrealtà. Molti detenuti manifestano poi un’irritabilità permanente, data da sentimenti di rabbia che possono essere somatizzati ed evolvere in patologie psicosomatiche: perdita di appetito, di peso, malessere generalizzato e aspecifico, esasperazione dei problemi medici preesistenti, disturbi visivi, tachicardia. La rabbia, laddove non si prosegua un obiettivo tangibile nella vita quotidiana, come spesso accade durante la detenzione, può essere percepita come stato depressivo e, se mal gestita, può condurre a episodi di autolesionismo e suicidio.