«Non mi piacciono le parate istituzionali e come tanti cittadini non sopporto lo sterile esercizio di una stucchevole retorica di Stato». Lo afferma, in un colloquio con La Stampa, il pm Nino Di Matteo, secondo il quale nella manifestazioni ufficiali «mi pare si sia data una lettura minimalista e rassicurante della strage di Capaci, come se la vendetta dei macellai corleonesi fosse il movente prevalente se non esclusivo, tralasciando due aspetti». «Il primo è il ruolo di leadership in termini di politica giudiziaria che Falcone aveva assunto al ministero: aveva portato in politica la lotta alla mafia - altro che porte girevoli! - e nella sua rozzezza Riina l’aveva capito. Secondo: la contestualizzazione dell’eccidio tra l’assassinio eccellente di Salvo Lima e la stagione delle altre sei stragi successive» anche nel continente. Di Matteo legge in parallelo l’Italia di oggi con quella del 1992. «Falcone - sottolinea - è stato tradito e ucciso da quelle istituzioni che in queste ore hanno partecipato al gran gioco delle finte commemorazioni e domani, tornate a Roma, riprenderanno a lavorare per smantellare pezzo dopo pezzo le leggi antimafia da lui ispirate, 41 bis ed ergastolo ostativo; voteranno una riforma che crea un modello di magistrato-burocrate antitetico al suo; introdurranno una legge elettorale del Csm che aumenterà il correntismo, perché la politica non ha alcun interesse a debellare un sistema di cui si nutre e da cui trae vantaggio».