A sentire le intemerate di “pacifisti”, neutralisti e anti-atlantisti sembra che Svezia e Finlandia siano guidate da sciagurati Stranamore che vogliono farci precipitare in un conflitto planetario. La richiesta di adesione alla Nato (peraltro immediatamente accolta) starebbe lì a dimostrarlo: una provocazione che darebbe ragione al Cremlino quando denuncia l’imperialismo anglo-americano che «circonda» le frontiere della Federazione russa.
Certo, l’ingresso delle due nazioni nordiche nell’Alleanza segna un passaggio epocale nella geopolitica europea, mettendo fine alla storica neutralità di Stoccolma e Helsinki, ma la ragione di questa svolta è molto semplice: la guerra di Vladimir Putin, un autocrate minaccioso e violento che ora è diventato anche imprevedibile, con la sua concezione estensiva e d’attacco della sicurezza nazionale russa. E con un vicino di casa del genere è comprensibile avere paura e correre ai ripari.
Le prime ministre Magdalena Andersson e Sanna Marin sono due leader socialdemocratiche (in Nord- Europa questa parola ha ancora un senso) che non hanno mai manifestato una particolare simpatia per i generali dell’Alleanza né mai sostenuto politiche di contenimento nei confronti della confinante Russia. Hanno chiesto di ripararsi sotto l’ombrello della Nato perché ora sta piovendo. Temono di finire nel tritacarne di Mosca e si proteggono con il famoso articolo 5 del trattato di alleanza che prevede reciproco supporto militare nel caso in cui un Paese membro subisse un’aggressione.
E dire che fino a pochi mesi fa la Nato era un’istituzione moribonda, strategicamente in declino, senza reali obiettivi e con tante grane interne (la Turchia di Erdogan su tutto). È stata l’invasione dell’Ucraina a ridarle significato e vigore, a restituirle inedita capacità di attrazione: un clamoroso autogol per lo stato maggiore russo che non si aspettava minimamente una simile reattività. E a dire il vero non se lo aspettavano nemmeno gli alti papaveri della Nato che si muovono da anni nell’irrilevanza e nel declino.
Nel 2017 Donald Trump l’aveva definita «obsoleta», spiegando che l’America era stufa di spendere tanti miliardi di dollari per tenerla in piedi e invitando gli alleati ad aprire il portafoglio, o altrimenti a chiudere la baracca. Ancora più tagliente il francese Macron che in un’intervista all’Economist del 2019 ha parlato di «morte cerebrale» dell’organizzazione denunciando la «grave mancanza di coordinamento nelle decisioni».
Insomma a settant’anni dalla sua creazione, la Nato sembrava destinata giustamente a uscire di scena per lasciare spazio a nuove forme di cooperazione militare che superassero la divisione in blocchi della Guerra fredda. La scellerata operazione speciale in Ucraina ci ha riportati indietro di oltre trent’anni e, parafrasando Churchill, ha tracciato una nuova cortina di ferro tra l’Occidente e la Russia. È vero che anche nel mondo cosiddetto democratico c’è chi brinda alla radicalizzazione dello scontro per “regolare i conti” una volta per tutte con Mosca. Ma non è altro che l’ effetto secondario di una guerra voluta, pianificata e scatenata da Vladimir Putin.
La Svezia e la Finlandia sotto l’ombrello Nato non per “atlantismo” ma perché sta piovendo
A sentire le intemerate di “pacifisti”, neutralisti e anti-atlantisti sembra che Svezia e Finlandia siano guidate da sciagurati Stranamore che vogliono farci precipitare in un conflitto planetario. La richiesta di adesione alla Nato (peraltro immediatamente accolta) starebbe lì a dimostrarlo: una provocazione che darebbe ragione al Cremlino quando denuncia l’imperialismo anglo-americano che «circonda» le frontiere della Federazione russa.
Certo, l’ingresso delle due nazioni nordiche nell’Alleanza segna un passaggio epocale nella geopolitica europea, mettendo fine alla storica neutralità di Stoccolma e Helsinki, ma la ragione di questa svolta è molto semplice: la guerra di Vladimir Putin, un autocrate minaccioso e violento che ora è diventato anche imprevedibile, con la sua concezione estensiva e d’attacco della sicurezza nazionale russa. E con un vicino di casa del genere è comprensibile avere paura e correre ai ripari.
Le prime ministre Magdalena Andersson e Sanna Marin sono due leader socialdemocratiche (in Nord- Europa questa parola ha ancora un senso) che non hanno mai manifestato una particolare simpatia per i generali dell’Alleanza né mai sostenuto politiche di contenimento nei confronti della confinante Russia. Hanno chiesto di ripararsi sotto l’ombrello della Nato perché ora sta piovendo. Temono di finire nel tritacarne di Mosca e si proteggono con il famoso articolo 5 del trattato di alleanza che prevede reciproco supporto militare nel caso in cui un Paese membro subisse un’aggressione.
E dire che fino a pochi mesi fa la Nato era un’istituzione moribonda, strategicamente in declino, senza reali obiettivi e con tante grane interne (la Turchia di Erdogan su tutto). È stata l’invasione dell’Ucraina a ridarle significato e vigore, a restituirle inedita capacità di attrazione: un clamoroso autogol per lo stato maggiore russo che non si aspettava minimamente una simile reattività. E a dire il vero non se lo aspettavano nemmeno gli alti papaveri della Nato che si muovono da anni nell’irrilevanza e nel declino.
Nel 2017 Donald Trump l’aveva definita «obsoleta», spiegando che l’America era stufa di spendere tanti miliardi di dollari per tenerla in piedi e invitando gli alleati ad aprire il portafoglio, o altrimenti a chiudere la baracca. Ancora più tagliente il francese Macron che in un’intervista all’Economist del 2019 ha parlato di «morte cerebrale» dell’organizzazione denunciando la «grave mancanza di coordinamento nelle decisioni».
Insomma a settant’anni dalla sua creazione, la Nato sembrava destinata giustamente a uscire di scena per lasciare spazio a nuove forme di cooperazione militare che superassero la divisione in blocchi della Guerra fredda. La scellerata operazione speciale in Ucraina ci ha riportati indietro di oltre trent’anni e, parafrasando Churchill, ha tracciato una nuova cortina di ferro tra l’Occidente e la Russia. È vero che anche nel mondo cosiddetto democratico c’è chi brinda alla radicalizzazione dello scontro per “regolare i conti” una volta per tutte con Mosca. Ma non è altro che l’ effetto secondario di una guerra voluta, pianificata e scatenata da Vladimir Putin.
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