«Non è coi referendum che si fa una riforma complessiva, perché si rischia di provocare più problemi che offrire soluzioni». Ciononostante «il Pd non è una caserma, quindi daremo un orientamento di voto ma lasceremo la libertà ai singoli vista la materia così delicata». Sono parole del segretario dem Enrico Letta, che ieri in direzione ha difeso la scelta di schierare il partito per il No ai cinque quesiti sulla giustizia, aprendo tuttavia a chi la vede in modo diverso nel partito e ottenendo l’approvazione all’unanimità della sua relazione. Nella quale ha risposto alla lettera aperta del deputato Stefano Ceccanti e dell’ex ministro Enrico Morando pubblicata sul Foglio, con la quale chiedevano al Nazareno di ripensare la propria linea politica.

«Per noi l’importante era che il parere della segreteria sui tre quesiti che si sovrappongono al lavoro parlamentare non fosse liquidatorio, e così è stato - spiega Ceccanti al Dubbio -. Il segretario non si è espresso rigidamente per il No e quindi la posizione di chi è a favore del Sì è stata accettata». Certo, ora bisogna vedere come far convivere nelle prossime settimane due visioni così diverse soprattutto su temi come la legge Severino e la separazione delle carriere dei magistrati. «Abbiamo letto l’intervista di Verini (deputato e tesoriere Pd, ndr) sul vostro giornale e abbiamo reagito chiedendo una posizione più equilibrata - aggiunge il deputato dem -. Il tesoriere ha le sue convinzioni, del tutto rispettabili, ma la linea del Pd deve tenere conto di anche posizioni diverse».

Su una simile lunghezza d’onda si muove Enza Bruno Bossio, deputata dem da subito schierata per il Sì a tutti i quesiti. «Ho votato a favore della relazione perché Letta ha detto cose completamente diverse da Verini, che si era schierato per cinque No - commenta la deputata poche ore dopo la direzione -. Ha detto che ognuno può sentirsi libero di votare liberamente e quindi mi sento autorizzata a portare avanti la campagna per il Sì senza dovermi giustificare rispetto alla linea del partito». Per poi attaccare il leader della Lega, Matteo Salvini, reo di aver personalizzato e politicizzato la campagna referendaria. «Si dovrebbe discutere sul merito, non sulla base di convinzioni politiche», conclude Bruno Bossio.

Chi invece si muove su una posizione diversa, in netto contrasto con il segretario, è Andrea Marcucci, forte sostenitore dei quesiti. «I referendum sollevano temi che per loro natura interrogano la libertà di coscienza, non credo abbia senso dare una rigida indicazione di partito - ragiona il senatore dem -. Come garantista, sottolineo che sulla carcerazione preventiva e sulla legge Severino è necessario intervenire, perché il mantenimento dello status quo è deleterio: il 12 giugno (data del voto, ndr) è un’occasione per ribadire la centralità della giustizia, ma ricordiamoci che in ogni caso il Parlamento dovrà sciogliere questi nodi».