Una riforma, quella della giustizia tributaria, con più ombre che luci. Dopo discussioni estenuanti, iniziate nell’estate del 2018 quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte, il governo ha varato ieri lo schema di disegno di legge predisposto dalla commissione mista Mef- Giustizia. L’articolato prevede il passaggio da una magistratura onoraria ad una professionale, con i futuri giudici tributari, assunti per concorso, che andranno in pensione a 70 e non più a 75 anni. Una modifica destinata a produrre, come affermato da Domenico Chindemi, presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia e presidente di sezione della Cassazione, effetti «deleteri» sulla gestione e organizzazione delle Commissioni tributarie.

«A titolo di esempio – sottolinea Chindemi – considerando i magistrati tributari che compiranno 70 anni al 31 dicembre 2023, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, composta da 23 sezioni, comprese le 3 della distaccata di Brescia, perderebbe 11 presidenti di sezione su 14, 8 vicepresidenti su 13, e 23 giudici su 65, con impossibilità di formare i collegi per mancanza di presidenti, blocco quasi totale delle udienze, eliminazione della sezione staccata di Brescia, e un inevitabile accumulo di arretrati che inciderebbe anche in misura notevole sulle entrate dell’Erario».

I giudici tributari in servizio al 31 dicembre del 2021 erano 2.638, di cui 1.833 presso le 103 Commissioni provinciali e 805 presso le 21 Commissioni regionali. La riforma riduce il loro numero a 576 giudici professionali, di cui 450 presso le Commissioni tributarie provinciali e 126 presso quelle regionali. Il tutto, «in assenza di un progetto di revisione delle sedi giudiziarie, del monitoraggio degli attuali carichi di lavoro pendenti presso le Commissioni tributarie, e delle previsioni di ingresso di nuovi ricorsi», fa notare sempre Chindemi. Che continua: «I nuovi assunti non potrebbero essere adibiti a funzioni direttive, cioè a presidenti di sezioni o di Commissioni, a differenza degli attuali presidenti che provengono generalmente già da esperienze direttive nelle magistrature di appartenenza, assicurano un bagaglio di esperienza e professionalità acquisito nei decenni precedenti e, per coloro che hanno già superato il settantesimo anno di età, una attività a tempo pieno presso le Commissioni, non avendo l’impegno della magistratura di appartenenza». La professionalità dei giudici, «non dipende solo dal tempo pieno».

Altri aspetti critici della riforma sono stati evidenziati anche dall’Associazione magistrati tributari ( Amt). Ad esempio, l’introduzione di norme che affidano al ministero dell’Economia competenze ora di esclusiva pertinenza del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria ( Cpgt), l’organo di autogoverno, quale la gestione dello status giuridico ed economico dei magistrati tributari, il reclutamento dei nuovi giudici e l’organizzazione delle procedure concorsuali.

«Si tratta di disposizioni che non solo appannano l’immagine di indipendenza e terzietà del giudice tributario, ma rischiano di interferire nell’esercizio della funzione giudiziaria, accentuando e confermando l’inaccettabile commistione, più volte segnalata, della contestuale gestione della Agenzia delle Entrate e della giustizia tributaria», ricorda l’avvocata Daniela Gobbi, presidente dell’Amt. «La presenza della componente proveniente dal mondo delle professioni, in considerazione della natura tecnica e interdisciplinare della materia tributaria e in assenza di un codice delle leggi tributarie, ha sempre garantito un elevato grado di competenza e tecnicismo, indispensabile per l’instabilità delle norme tributarie e di conseguenza degli orientamenti», aggiunge la presidente dell’Amt, annunciando la stato di agitazione della categoria.

«La giustizia tributaria, pur con alcune criticità, è la giustizia più celere di tutte le giurisdizioni», ha ricordato il presidente del Cpgt Antonio Leone, che ha ricordato ancora una volta il tasso di riforma molto basso in Cassazione: solo il 5 percento dei ricorsi presentati in primo grado. «Ma il legislatore ha trovato il modo, con le alchimie parlamentari, di trasformare la lepre in elefante», è il laconico commento di Chindemi.