Comunque vada a finire la guerra in Ucraina, il bilancio per la Russia, in termini di efficienza, è disastroso. La strategia iniziale della Russia era con ogni probabilità sideralmente distante da quella che sta adottando oggi. Puntava a una guerra lampo con rapida conquista di Kiev, nella convinzione, forse fondata, che di fronte al fatto compiuto la reazione dell’occidente sarebbe stata nella sostanza molto più morbida. Una ipotesi del genere doveva in tutta evidenza basarsi su rapporti dell’intelligence che si sono dimostrati lontanissimi dalla realtà e il dato è tanto più rilevante trattandosi di un Paese che non lesina certo in materia di servizi segreti.
E’ opinione comunque che l’Ucraina fosse armata molto più e molto meglio di quanto Putin non sospettasse ma anche così gli Usa sono rimasti sorpresi dagli eventi. Immaginavano anche loro una vittoria pur se momentanea della Russia quasi fulminea e nel loro caso non si tratta certo di scarse informazioni sugli armamenti in dotazione al Paese invaso. L’elemento inaspettato e imprevisto, per gli Usa e per l’occidente tutto, è stata la scarsa consistenza di un esercito che si riteneva potentissimo. Anche da questo punto di vista la realtà si è rivelata particolarmente sorprendente in quanto Putin concentrava mezzi e sforzi per rendere moderno e ed efficiente il suo esercito almeno da 6- 8 anni.
Se dal fronte bellico ci si sposta su quello economico il quadro non cambia. L’economia russa è rimasta al palo. L’arricchimento immenso dei cosiddetti “oligarchi” è stato parassitario, non produttivo. La sola fonte di ricchezza sono le materie prime. E’ interessante notare che in situazione non troppo diversa da quella dello zer si trova anche il sultano, Erdogan.
Il suo no all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato suona più come l’avvio di un mercanteggiamento che come un veto reale. Erdogan vuole incassare su più tavoli: con l’ennesimo sacrificio dei Curdi, considerati da sempre moneta di scambio e vittime sacrificali, con il ripristino delle forniture militari bloccate dalle sanzioni americane ma anche con aiuti corposi a un’economia devastata. Alla prova dell’efficienza, autocrazie, dittature e tirannie si rivelano inconsistenti tanto dal punto di vista dell’organizzazione militare che da quello dello sviluppo dell’economia.
Sarebbe sbagliato sottovalutare il peso di un simile dato garantito dalla realtà dei fatti. Da sempre la principale critica che viene mossa alle democrazie, il loro apparente punto debole, è rappresentato proprio dal prezzo che viene pagato in termini di efficienza, drasticità, tempestività. Troppe pastoie, troppi lacci e lacciuoli, troppe mediazioni obbligatorie, troppa lentezza nelle decisioni, troppi dibattiti estenuanti tra le forze politiche, troppo condizionamento da parte di un’opinione pubblica che si muove necessariamente sulla base delle emozioni più che della competenza. Sistemi più autoritari, secondo questa eterna geremiade, pagano sì un prezzo in termini di democrazia ma lo recuperano sul piano della velocità e dunque dell’efficienza.
Lo sfacelo della campagna russa, che resterebbe tale anche se alla fine Putin si proclamasse trionfatore grazie alla conquista del Donbass, ma anche il disastro dell’economia turca o lo stato di quella iraniana indicano una realtà diversa. Contrariamente alle apparenze uno dei principali limiti dei sistemi autoritari sta proprio nella loro mancanza di efficienza. Perché la fonte del potere e dell’autorità è la vicinanza al capo invece della capacità. Perché la corruzione si insinua molto più facilmente nell’assenza di quel controllo incrociato che anche la democrazia più debole comunque garantisce. Perché la preminenza assoluta di un potere, quello politico, su tutti gli altri e all’interno del potere politico di quello esecutivo ristretto nelle mani di pochissime persone ostacola e non fluidifica il funzionamento del sistema. L’eccezione sembra essere la Cina, ma si tratta di un caso diverso, trattandosi almeno nella struttura politica di un sistema comunista che, pur essendo agli antipodi della democrazia, è cosa diversa dalle autocrazie e dalle dittature personali.
Per le democrazie occidentali e in particolare per quella italiana, però, la percezione di questa realtà non dovrebbe suonare solo come consolante. Anche nelle nostre democrazie è da decenni crescente la tentazione di limitare gli spazi di democrazia sostanziale, certo in misura incomparabile rispetto ai Paesi autoritari però tutt’altro che insignificante. Sul piano della politica e della qualità dei ceti dirigenti il risultato è già vistosamente negativo e non solo in Italia. Su quello dell’efficienza il bilancio potrebbe rivelarsi prestissimo altrettanto in rosso e forse anche di più.
Da Putin a Erdogan, la crisi economica il marchio dei regimi
Comunque vada a finire la guerra in Ucraina, il bilancio per la Russia, in termini di efficienza, è disastroso. La strategia iniziale della Russia era con ogni probabilità sideralmente distante da quella che sta adottando oggi. Puntava a una guerra lampo con rapida conquista di Kiev, nella convinzione, forse fondata, che di fronte al fatto compiuto la reazione dell’occidente sarebbe stata nella sostanza molto più morbida. Una ipotesi del genere doveva in tutta evidenza basarsi su rapporti dell’intelligence che si sono dimostrati lontanissimi dalla realtà e il dato è tanto più rilevante trattandosi di un Paese che non lesina certo in materia di servizi segreti.
E’ opinione comunque che l’Ucraina fosse armata molto più e molto meglio di quanto Putin non sospettasse ma anche così gli Usa sono rimasti sorpresi dagli eventi. Immaginavano anche loro una vittoria pur se momentanea della Russia quasi fulminea e nel loro caso non si tratta certo di scarse informazioni sugli armamenti in dotazione al Paese invaso. L’elemento inaspettato e imprevisto, per gli Usa e per l’occidente tutto, è stata la scarsa consistenza di un esercito che si riteneva potentissimo. Anche da questo punto di vista la realtà si è rivelata particolarmente sorprendente in quanto Putin concentrava mezzi e sforzi per rendere moderno e ed efficiente il suo esercito almeno da 6- 8 anni.
Se dal fronte bellico ci si sposta su quello economico il quadro non cambia. L’economia russa è rimasta al palo. L’arricchimento immenso dei cosiddetti “oligarchi” è stato parassitario, non produttivo. La sola fonte di ricchezza sono le materie prime. E’ interessante notare che in situazione non troppo diversa da quella dello zer si trova anche il sultano, Erdogan.
Il suo no all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato suona più come l’avvio di un mercanteggiamento che come un veto reale. Erdogan vuole incassare su più tavoli: con l’ennesimo sacrificio dei Curdi, considerati da sempre moneta di scambio e vittime sacrificali, con il ripristino delle forniture militari bloccate dalle sanzioni americane ma anche con aiuti corposi a un’economia devastata. Alla prova dell’efficienza, autocrazie, dittature e tirannie si rivelano inconsistenti tanto dal punto di vista dell’organizzazione militare che da quello dello sviluppo dell’economia.
Sarebbe sbagliato sottovalutare il peso di un simile dato garantito dalla realtà dei fatti. Da sempre la principale critica che viene mossa alle democrazie, il loro apparente punto debole, è rappresentato proprio dal prezzo che viene pagato in termini di efficienza, drasticità, tempestività. Troppe pastoie, troppi lacci e lacciuoli, troppe mediazioni obbligatorie, troppa lentezza nelle decisioni, troppi dibattiti estenuanti tra le forze politiche, troppo condizionamento da parte di un’opinione pubblica che si muove necessariamente sulla base delle emozioni più che della competenza. Sistemi più autoritari, secondo questa eterna geremiade, pagano sì un prezzo in termini di democrazia ma lo recuperano sul piano della velocità e dunque dell’efficienza.
Lo sfacelo della campagna russa, che resterebbe tale anche se alla fine Putin si proclamasse trionfatore grazie alla conquista del Donbass, ma anche il disastro dell’economia turca o lo stato di quella iraniana indicano una realtà diversa. Contrariamente alle apparenze uno dei principali limiti dei sistemi autoritari sta proprio nella loro mancanza di efficienza. Perché la fonte del potere e dell’autorità è la vicinanza al capo invece della capacità. Perché la corruzione si insinua molto più facilmente nell’assenza di quel controllo incrociato che anche la democrazia più debole comunque garantisce. Perché la preminenza assoluta di un potere, quello politico, su tutti gli altri e all’interno del potere politico di quello esecutivo ristretto nelle mani di pochissime persone ostacola e non fluidifica il funzionamento del sistema. L’eccezione sembra essere la Cina, ma si tratta di un caso diverso, trattandosi almeno nella struttura politica di un sistema comunista che, pur essendo agli antipodi della democrazia, è cosa diversa dalle autocrazie e dalle dittature personali.
Per le democrazie occidentali e in particolare per quella italiana, però, la percezione di questa realtà non dovrebbe suonare solo come consolante. Anche nelle nostre democrazie è da decenni crescente la tentazione di limitare gli spazi di democrazia sostanziale, certo in misura incomparabile rispetto ai Paesi autoritari però tutt’altro che insignificante. Sul piano della politica e della qualità dei ceti dirigenti il risultato è già vistosamente negativo e non solo in Italia. Su quello dell’efficienza il bilancio potrebbe rivelarsi prestissimo altrettanto in rosso e forse anche di più.
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