Nel nostro Paese il 34,7% delle cause giudiziali di separazione con affido presenta indicazioni di violenza domestica mentre per quanto riguarda i procedimenti minorili sulla genitorialità siamo in presenza di violenza domestica nel 34,1% dei casi e nel 28,8 per cento di violenza diretta su bambini e ragazzi, per l’85% agita dai padri. Si tratta di fenomeni per lo più “invisibili”, perché non riconosciuti dagli operatori nel corso dei processi. Di più, in queste cause di separazione con figli in cui sono presenti tracce di violenza, nel 96% dei casi i Tribunali ordinari non acquisiscono i relativi atti e anche nell'iter successivo non ne tengono conto nell'84,4% dei casi anche per decidere sull’affido dei figli, mentre i Tribunali per i minorenni nei casi in cui c’è violenza finiscono con l’affidare i minori nel 54% dei casi alla sola madre, anche con incontri liberi con il padre violento. Sono questi in estrema sintesi i dati che emergono dall’ultima indagine della Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e la violenza di genere dal titolo «La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale», che è stata approvata all’unanimità il 20 aprile 2022.La vittimizzazione secondaria è una conseguenza spesso sottovalutata proprio nei casi in cui le donne sono vittima di reati di genere, e l'effetto principale è quello di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa. La Commissione, sollecitata anche dalle numerose richieste di madri vittime di violenza a cui sono stati - in molti casi - sottratti i figli, facendosi carico di questo tema, ha deliberato di svolgere un'inchiesta volta a verificare la concreta attuazione in Italia dei principi della Convenzione di Istanbul e a individuare la portata del fenomeno cosiddetto di vittimizzazione secondaria in danno di donne e minori vittime di violenza. L’oggetto dell’indagine sono stati i procedimenti sulla responsabilità genitoriale pendenti a marzo 2017 di fronte ai Tribunali per i minorenni. Lo scopo è stato di «verificare la capacità di tutti gli attori coinvolti nei procedimenti de responsabilitate (magistrati togati o onorari, avvocati, consulenti e servizi sociali) di riconoscere la violenza e di considerarla un discrimine ai fini della decisione sulla responsabilità genitoriale e sulla domiciliazione dei figli minori, di comprendere se è presente una specifica formazione in materia di violenza di genere, di accertare quanto venga rispettata in concreto la Convenzione di Istanbul». Il campione statistico ha riguardato 620 fascicoli, rappresentativi dei 1452 iscritti nei Tribunali per i minorenni al ruolo nel mese di marzo 2017. In Italia il numero complessivo di tali procedimenti nel 2017 era di 18938, di cui 13704 iscritti nei 12 Tribunali selezionati (Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Roma, Taranto e Torino).

LA VIOLENZA NEI CONTESTI FAMILIARI E AFFETTIVI

L’analisi ha rilevato che nel 34,1% dei casi nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale pendenti nei Tribunali per i minorenni sono presenti allegazioni di violenza (atti, denunce, annotazioni) e/o di disfunzionalità genitoriale che portano al rifiuto del figlio di vedere il genitore violento. Di questi, l’86,3% riguardano allegazioni di violenza, ovvero affermazioni di una delle parti (da sottoporre a verifica nel corso o all’esito del procedimento) relative a comportamenti violenti di uno o di entrambi genitori nei confronti dell’altro genitore o della prole, il 3% riguardano disfunzionalità genitoriali, ovvero comportamenti solo potenzialmente pregiudizievoli per i figli, mentre il 10,7% riguardano sia allegazioni di violenza che disfunzionalità genitoriali. Nel 16,9% dei fascicoli in cui si è riscontrata la presenza di violenza domestica sono presenti anche misure cautelari, in gran parte a carico del padre (91,3%). Nel 6,7% dei casi sono presenti sentenze penali di condanna, in gran parte a carico del padre (84,7%). Da notare che i documenti relativi alle violenze sono già presenti nelle memorie di costituzione e negli atti introduttivi, con deposito di atti quali referti o denunce nel 65,2% dei casi. Nel 28,8% dei procedimenti pendenti davanti ai Tribunali per i minorenni, la violenza riguarda direttamente il minore e viene esercitata nell’85,1% dei casi dal padre, nell’8,6% dei casi dalla madre e nel 6,3% da entrambi i genitori. Nel 9,4% dei casi con allegazioni di violenza e/o disfunzionalità genitoriale, viene segnalato negli atti introduttivi il rifiuto del minore di vedere un genitore, che nel 70,3% dei casi è il padre. Anche di fronte ai Tribunali dei minorenni, l’ascolto dei bambini e dei ragazzi avviene solo nel 33,4% dei casi. «Numerosi - scrive la Commissione - sono gli affidi ai servizi sociali, riscontrati nel 55,2% dei casi (175 casi su 317), misura che appare particolarmente punitiva per i genitori e fortemente rivittimizzante per le madri che hanno subito maltrattamenti. In questi casi, infatti, il genitore viene esautorato». Nel 56,3%, cioè molto più della metà dei casi, l’affido ai servizi sociali viene confermato anche nell’ultimo provvedimento provvisorio assunto dal Tribunale per i minorenni. L’indagine ha appurato che nell’80,4% dei casi in cui il Tribunale per i minorenni ha adottato una decisione conclusiva: nel 19% ha confermato l’affidamento ai servizi sociali, nell’8% il collocamento presso i due genitori, nel 54% il collocamento presso la sola madre, con incontri anche liberi con il padre violento. «Solo a titolo esemplificativo - si legge nella Relazione - alcune delle ipotesi più ricorrenti di possibile vittimizzazione secondaria nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, numerosi sono i casi in cui sono le stesse norme a condurre a questo effetto. Nei procedimenti di separazione e divorzio giudiziale, rispettivamente l’articolo 708 codice di procedura civile e l’articolo 4 della legge n. 898/1970, prevedono espressamente la presenza congiunta dei coniugi davanti al Presidente per il tentativo di conciliazione, senza alcuna deroga; l’applicazione di queste disposizioni in presenza di condotte di violenza domestica - in alcuni casi anche accertate dall’autorità penale - produce come conseguenza la necessaria contemporanea presenza nel medesimo contesto della donna che ha subito violenza e del partner violento, senza che sia prevista l’adozione delle cautele invece dettate nell’ambito dei procedimenti penali. La soggezione psicologica che subisce la vittima, in mancanza di adozione di necessarie tutele, può avere come conseguenza non solo l’esposizione a tensioni e pressioni agite dal violento, ma anche l’impossibilità per la vittima di esporre nel dettaglio le condotte subite nel corso della relazione familiare, con il rischio di mancata emersione dei comportamenti di violenza». Ma la forma più ricorrente e grave di vittimizzazione secondaria può realizzarsi - continua la Relazione - nei procedimenti di affidamento dei figli, in conseguenza della mancata applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, nel quale si prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione». Il mancato accertamento delle condotte violente e la conseguente mancata valutazione di tali comportamenti nella adozione di provvedimenti di affidamento dei figli, ha come conseguenza l’emanazione di provvedimenti stereotipati che dispongono l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e la genitrice vittima di violenza. Con conseguente imposizione alla madre, per provvedimento della stessa autorità giudiziaria, di assumere decisioni - peraltro sovente ostacolate dal genitore violento, con l'ulteriore pregiudizio per il minore che spesso rimane privo dei necessari interventi di sostegno - per i figli insieme con l’autore della violenza, con il rischio di essere di nuovo esposta ad aggressioni, a pressioni o a violenti condizionamenti.

I CASI EMBLEMATICI

La Commissione ha esaminato 36 casi di procedimenti aventi ad oggetto domande di affidamento di figli minori o relative alla titolarità della responsabilità genitoriale in cui le madri hanno denunciato di essere state vittime di violenza ovvero hanno denunciato i partner per abusi sui minori. Nell'ambito di questi 36 procedimenti, 25 donne sono state sottoposte, come epilogo delle loro vicende, ad un provvedimento con cui è stata limitata la loro responsabilità genitoriale ed i figli sono stati allontanati e collocati in luoghi alternativi all’abitazione nella quale vivevano, in applicazione di percorsi trattamentali che richiamano la cosiddetta Pas o teorie analoghe. Nei casi restanti vi sono consulenze tecniche che si pronunciano negativamente sulle capacità genitoriali delle madri ma che non hanno portato, al momento, a provvedimenti di allontanamento dei figli, anche se i casi sembrano purtroppo avviati ad avere la medesima conclusione. Nei casi esaminati, pur non costituendo un campione rappresentativo del fenomeno del riconoscimento della violenza di genere nei procedimenti aventi ad oggetto domande di affidamento di figli minori o relative alla titolarità della responsabilità genitoriale, emergono criticità che possono fornire elementi di conoscenza, soprattutto in relazione alle evidenze emerse dall’indagine statistica: la violenza denunciata dalle madri su di loro o sui minori non viene riconosciuta nei procedimenti civili o minorili. Le consulenze tecniche di ufficio presentano varie criticità: i consulenti non vengono scelti in albi con specifica formazione sui temi della violenza di genere; non si ricostruisce la storia della violenza; trova applicazione la molto discussa teoria dell’alienazione parentale, secondo la quale la funzione del padre è imprescindibile per il minore in nome della bigenitorialità, per cui se la violenza non viene riconosciuta le madri sono alienanti rispetto ai padri violenti; i minori cambiano spesso collocazione dalla madre al padre, a volte con un periodo temporaneo in struttura per essere preparati, con l’ulteriore trauma del prelievo forzoso.

CRITICITÀ E PROPOSTE

Nella maggior parte dei procedimenti analizzati non emerge dunque una specifica attenzione al tema della violenza domestica, anche in presenza di allegazioni di parte in merito all’esistenza di condotte violente, e in alcuni casi persino in presenza di provvedimenti emessi nell’ambito di procedimenti penali. Nessuna specifica istruttoria viene compiuta per verificare se, in concreto, le condotte violente descritte dalla donna negli atti di causa o riferite nel corso delle udienze, siano state poste in essere. Solo in pochi casi si realizzano forme di coordinamento tra le autorità giudiziarie. Nei procedimenti presso i Tribunali ordinari, nessuna cautela viene adottata per evitare forme di vittimizzazione secondaria nel corso del procedimento: le parti compaiono davanti al giudice contemporaneamente per il tentativo di conciliazione. «In una prospettiva di riforma – continua la Relazione - occorre cambiare innanzitutto l’approccio culturale nei confronti della violenza contro le donne. Prima ancora di valutazioni e accertamenti psicologici, tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel ciclo della violenza devono 'riappropriarsi dei fatti', interrogandosi ed accertando, ad esempio, le ragioni per cui un minore rifiuta di incontrare un genitore. È necessario che i giudici tornio alle prove “classiche”: sentire come informatori o testi i familiari, i vicini di casa, gli insegnanti. In caso di pendenza di processi penali occorre acquisire gli atti utili». La Commissione pertanto, in relazione alle criticità e alle buone prassi richiamate, raccomanda a tutti gli attori istituzionali coinvolti, a partire dal Parlamento, formazione specialistica in materia di violenza domestica e assistita per tutti gli operatori e l’applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul sulla custodia dei figli. Al riguardo, la Commissione ipotizza la modifica dell’articolo 337-ter del codice civile, specificando che il 'diritto alla bigenitorialità' opera solo in presenza di genitori dotati di idonee capacità genitoriali, da ritenersi non sussistenti a carico del genitore autore di violenza domestica ed assistita, nel presupposto che il best interest del minore sia garantito pienamente assicurando al minore tutela dalla violenza domestica ed assistita; la modifica dell’articolo 337-quater del codice civile, che disciplina l’affidamento esclusivo dei minori ad un genitore, introducendo una presunzione di disfunzionalità genitoriale a carico del genitore violento, prevedendo che in presenza di indici di violenza domestica il giudice debba disporre l’affidamento esclusivo del figlio minore al genitore vittima di violenza, salvo che ciò non sia attuabile per altri motivi accertati; la modifica degli articoli 330 e 333 del codice civile, che disciplinano rispettivamente la decadenza dalla responsabilità genitoriale e le condotte del genitore pregiudizievoli per il figlio, prevedendo che in presenza di indici di violenza domestica l’accertamento di fatti di violenza domestica (da compiere anche in via incidentale nell’ambito del procedimento civile o minorile) costituisca condotta pregiudizievole compiuta dal genitore autore della violenza in danno del minore, salva prova contraria. La Commissione suggerisce di prevedere che in presenza di accertamento, anche in via incidentale e provvisorio, di condotte di violenza domestica vengano adottate idonee misure a tutela dei minori e del genitore che abbia subito violenza per le frequentazioni con il genitore che abbia agito violenza. Nel caso di allegazioni di violenza è necessaria attività istruttoria e ascolto diretto del minore e accertamenti tecnici, con esclusione di teorie non riconosciute ed accettate dalla comunità scientifica (Pas). Occorre vietare il prelievo forzoso dei minori al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso. La Commissione propone inoltre di istituire con urgenza una commissione interministeriale (Giustizia e Salute) che esamini l’attuale condizione di tutti i minori allontanati coattivamente dalla loro abitazione, valutandone gli effetti sul minore stesso e sulle madri. Indispensabile, infine, il sostegno alle donne vittime di violenza. La Commissione richiede di ampliare i requisiti di accesso al patrocinio a spese dello Stato per le donne vittime di violenza che debbano difendersi in provvedimenti civili o minorili per l’affidamento dei figli.