Pubblichiamo un estratto esclusivo del nuovo libro di Matteo “Il mostro. Inchieste, scandali e dossier. Come provano a distruggerti l'immagine”, pubblicato per Piemme da Mondadori (Libri S.p.A. ©️ 2022 Mondadori Libri S.p.A., Milano).

«Dopo oltre due anni, finalmente, chiudono le indagini e consegnano le carte. Vado in tribunale e chiedo il file che mi riguarda. Mi rispondono che sono novantaquattromila pagine. Mi domando quanti poveri alberi del pianeta debbono soffrire i danni collaterali di questa indagine. E tuttavia chiedo le carte. Mi dicono: prima lei deve strisciare. Strisciare? Hanno scelto quello sbagliato, penso. Poi mi spiegano: strisciare la carta, la carta di credito. Per sapere tutto ciò che i Pm hanno fatto su di me devo pagare allo stato oltre 4.000 euro perché le carte sono tante. Cioè 4.000 euro per sapere che cosa lo stato ha fatto della mia vita. Vi sembra giusto? Ho pensato: ma se uno non ha soldi, come fa? Comunque 4.000 euro a me non fanno la differenza, ma per molte famiglie sì. Non mi sembra giusto questo modo di procedere ma decido comunque di rispondere con le armi della giustizia e non con la polemica. Non firmo comunicati stampa, non grido al complotto, non propongo leggi ad personam. Faccio l’imputato, studio le carte, firmo ricorsi. E dimostro in modo inequivocabile – anche con questo libro – che la verità dei fatti è diversa da quella raccontata. Ecco perché non accetto che si dica che io sto attaccando come tutti i politici quelli che indagano su di me. Io sto facendo – per una volta – quello che dovrebbero fare tutte le persone, ma che comprensibilmente non tutti possono permettersi di fare, per varie ragioni: rispondere colpo su colpo alle ingiustizie non permettendo a nessuno di violare la legge. Nemmeno ai magistrati. Già, perché nella vicenda Open non solo c’è l’invasione di campo sul decidere chi e come può fare politica, non solo c’è da pagare l’obolo per sapere di che cosa ti accusano, non solo c’è una rappresentazione mediatica che ti trasforma in un gangster solo per aver provato a cambiare l’Italia, visto che nei fatti l’unica vera accusa che ti muovono è quella di fare politica, non altro. C’è di più. Nella vicenda Open, per cinque volte, prima del rinvio a giudizio, la Corte di Cassazione annulla le decisioni del Pm. Cinque volte solo nelle indagini preliminari. Ci rendiamo conto? È un record straordinario: se per cinque volte i magistrati della Cassazione – e stiamo parlando di magistrati, dunque non della riunione degli iscritti di Italia Viva – mettono nero su bianco che i metodi, le ragioni, le risultanze dell’indagine Open non sono rispettosi della legge significa che qualcosa non funziona più. Non ci credete? Le sentenze della Cassazione sul caso Open dovrebbero entrare nei manuali che studiano i giovani per presentarsi al corso per magistrati. La sintesi più efficace è quando l’attività istruttoria del Pm di Firenze viene definita «un inutile sacrificio di diritti». Mai come in questo caso si applica bene una celebre frase di Kafka: «Una gabbia andò in cerca di un uccello». Dunque il Pm, alla ricerca di reati, compie un «inutile sacrificio di diritti». Il Pm sacrifica i diritti, non l’imputato. Ricapitolando. Il giudice penale decide che l’azione politica di Matteo Renzi e dei suoi amici è illegale. Perché? Forse ruba? No. Perché loro dicono di non voler fare una corrente, ma il giudice penale ha deciso che quella è una corrente. C’è una legge che disciplina come funzionano le correnti? No. È una scelta del giudice dire che quella è una corrente. Sulla base della decisione politica del giudice, si apre un’inchiesta che diventa un processo che diventa uno show che per tre anni finisce costantemente sulle prime pagine ed è centrale in quasi tutte le trasmissioni televisive di politica. Solo nel primo giorno di perquisizioni 197 finanzieri vengono tolti dalla lotta al crimine per sequestrare i telefonini ai miei amici. E i telefonini vengono sequestrati non per prendere i dati dei bonifici, ma per fare la pesca a strascico. Per scoprire se c’è dell’altro. Per tenere sotto pressione chi si vede sequestrati l’album delle foto, le chat private, i dati personali. La Cassazione per cinque volte dà torto ai Pm, ma ormai il danno mediatico e politico è fatto. Perché siamo in un tempo in cui le sentenze della Cassazione valgono meno dei talk show e dei tweet. E parte del mondo del giornalismo ci marcia sopra. Italia Viva parte con il 5% dei sondaggi e nelle prime settimane – appena qualche ora prima che deflagri il caso Open – continua a crescere. Gli analisti individuano nel 10% lo spazio cui il nostro partito può puntare. Da quando esplode la vicenda Open siamo costretti alla difensiva in qualsiasi evento mediatico cui partecipiamo, tutti, anche chi neanche sa dove sia la Leopolda. Mi hanno massacrato con un rilievo mediatico impressionante su una cosa che non ho fatto io, ma che a mio avviso non è comunque reato, nemmeno formale, e lo hanno fatto per poter demolire l’immagine del bravo ragazzo boy scout e creare l’immagine di un ladro privo di morale. Tanto che da quel momento quando vado in tv – che mi occupi di Covid o di crisi ucraina, di Industria 4.0 o di diritti civili – non c’è una sola volta in cui non mi facciano una domanda sulla vicenda Open».