«Inutile e inopportuna», una protesta che sa di «lotta politica» e offre spunti per la «campagna elettorale». La magistratura si divide sullo sciopero organizzato dall’Anm, che ieri ha chiamato a raccolta da nord a sud le toghe per protestare contro la riforma Cartabia. Ma la chiamata alle armi ha registrato le defezioni di chi, come l’aggiunto di Roma Paolo Ielo o il giudice milanese Guido Salvini, ritengono insensato scioperare. Sono diverse le voci critiche tra le toghe proprio nel giorno in cui diverse procure d’Italia hanno lavorato a ranghi ridotti. Tra queste anche quella del procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, pur convinto che «la riforma è per molti versi, quasi per tutti, assolutamente censurabile e non serve a nulla». Una posizione sovrapponibile a quella di Ielo, secondo cui il disegno di legge è «ispirato ad una logica punitiva», come dimostrerebbero i nuovi illeciti disciplinari, il fascicolo del magistrato e la stretta sul passaggio dalle funzioni giudicanti e requirenti, norme «ai limiti della Costituzione e comunque inidonee ad imprimere una svolta positiva all’amministrazione della giustizia». Ma nonostante la riconfermata “fedeltà” all’Anm, «in questo caso e in questo momento, dissento - ha sottolineato Ielo - dall’utilizzazione dello sciopero come forma di protesta, perché inutile e inopportuna». Salvini si lancia invece in una critica ben più aspra, parlando di lotta politica nel tentativo di influenzare «l’indirizzo legislativo del Parlamento». Uno sciopero «inventato», insomma, in quanto al netto dei pareri sulla riforma «non si può scioperare contro un provvedimento votato dal legislatore a larga maggioranza e dopo numerosi confronti nelle Commissioni anche con i magistrati. I magistrati hanno il diritto e forse il dovere di scioperare, ma nel caso di leggi sulla giustizia che appaiono in modo grave e diretto anticostituzionali e certo questo non è il caso della riforma Cartabia». Il fascicolo delle performance, anzi, basandosi sulle «gravi anomalie» potrebbe essere utile per «evitare che gravi disastri processuali, alcuni dei quali, anche a Milano, entrino, come spesso accade, addirittura quale nota di merito nel curriculum di un magistrato. E non dimentichiamo che saranno sempre altri magistrati, i Consigli giudiziari e il Csm, a redigere le valutazioni e non il ministro o il governo». Ma ad andare più in profondità sui temi della protesta è Giuseppe Bianco, sostituto procuratore a Roma, anche lui tra coloro che hanno scelto di non aderire allo sciopero. «Il problema è la legittimazione di una dirigenza correntizia che, per le note vicende, ha pochi titoli per opporsi ad una riforma che proprio quella dirigenza ha favorito - spiega al Dubbio -. Lo sciopero rilancia il vecchio slogan dell’indipendenza. Ma ormai non è più credibile dire che la minaccia venga solo dalla politica. Le vicende del 2019 hanno dimostrato che c’è anche il condizionamento interno, non meno velenoso». Il ddl dovrebbe essere approvato, salvo colpi di scena, col testo già licenziato dalla Camera. Una «riforma modesta», aggiunge Bianco, che «peggiora poco e migliora poco», perché «lascia inalterato il sistema complessivo». E il punto più volte indicato come fondamentale - il sistema elettorale - non inciderebbe in alcun modo sulle degenerazioni alle quali la politica ha dichiarato di voler mettere mano: «Le correnti più strutturate ed ideologiche sono in grado di adattarsi a qualsiasi scenario, reinterpretando ogni regola in funzione perennemente autoconservativa - spiega il pm capitolino -. Per il resto alcuni punti cancerogeni non si affrontano: uno, per esempio, è l’impasse costituzionale fra Consiglio Superiore e magistratura amministrativa. Le decisioni di annullamento del Consiglio di Stato devono essere applicate o no?». Altro tema è quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, «sul quale sarebbe importante innestare una riflessione seria». Nemmeno il sorteggio, da solo, basterebbe: «Il sistema è in grado di assorbire e condizionare le velleità di qualsiasi sorteggiato indipendente». E per essere efficace servirebbero «misure complementari, che riducano gli spazi rimessi alla contrattazione del sistema correntocratico», come l’introduzione di criteri «obiettivi e matematici» per le nomine, perché il merito «è un concetto vuoto, che serve solo a giustificare il gioco di mercato delle varie correnti». Tutti punti che la riforma Cartabia non affronterebbe, con la paradossale conseguenza di «favorire il sistema, perché svia l’attenzione dai punti dolenti e regala a qualche corrente egemone il pretesto per una mobilitazione modesta in chiave meramente elettoralistica, in vista delle prossime elezioni per il Csm. Se non ci fosse stata la riforma - conclude Bianco -, nei comizi elettorali una certa curia interna non avrebbe avuto letteralmente più niente da dire».