«Sono abbastanza vecchio da ricordare l’omicidio Calabresi, ero all’università, fu subito chiaro che si trattata di un omicidio vile, tipico dei campioni delle Br e dell’area terroristica di sinistra, usi a colpire alle spalle, killer che freddavano persone inermi». L’ex ministro della Giustizia del secondo governo Berlusconi, Roberto Castelli, tra i fondatori della Lega, ricorda così il clima in cui maturò, il 17 maggio del 1972, l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi. Trenta anni dopo si ritrovò da ministro della Giustizia del governo Berlusconi a fare i conti con quella vicenda, negando più volte la grazia al leader di Lotta Continua Adriano Sofri, condannato nel frattempo come mandante dell’omicidio. «Io - ricorda in un colloquio con l’Adnkronos Castelli - dopo la confessione di Marino, ritenuta credibile, attendibile e realistica, ritenni che la pena, quella condanna per i leader di Lc, fosse del tutto meritata, avesse tutte le ragioni del caso». Ma poi sulla sua scrivania arrivarono le richieste di grazia: «Per me non c’erano i termini per quel provvedimento - sottolinea l’ex guardasigilli - l’amnistia si concede per chiudere una stagione politica, un’era, come fece Togliatti nel ’46, qui parlavamo di grazia, che invece va prevista nei confronti di qualcuno che si ritiene abbia scontato una giusta pena e che si sia ravveduto, non mi pareva il profilo di Sofri». Nel 2003 Castelli dice no, stessa cosa fa nel 2005. Nel frattempo il presidente della Repubblica Ciampi avvia la pratica per la grazia a Bompressi, firmata dal suo successore Napolitano nel maggio del 2006. «Una cosa incostituzionale, per me, anche se ci fu una sentenza della Consulta a favore, che grida ancora vendetta», sottolinea l’ex guardasigilli. Inoltre ribadisce oggi Castelli, tornando a Sofri «lui non ha mai fatto richiesta di essere graziato, troppa protervia, mentre la sinistra che mi mise in croce, ma a cui dissi sempre no, si mosse stranamente solo quando ministro ero io, con un governo di centrodestra, a guida Berlusconi». «Guarda caso - conclude - dopo quella stagione finirono le polemiche e nessuno tornò alla carica, tutti si dimenticarono di Sofri, non gliene fregò più nulla a nessuno». I ripetuti inviti a dare corso alla richiesta di grazia, avanzati in maniera trasversale da esponenti della politica e della cultura, sono sempre stati respinti dal Ministro Castelli, malgrado Ciampi avesse nello stesso periodo più volte manifestato la volontà di concederla, tanto da giungere a un conflitto con il guardasigilli risolto poi dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 200 del 18 maggio 2006, ha stabilito che non spetta al Ministro della Giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento di grazia, ma esso è un libero provvedimento motu proprio del Capo dello Stato. Alla fine la grazia non fu concessa perché la sentenza fu emessa tre giorni dopo che Ciampi aveva concluso il suo mandato di Presidente della Repubblica.