I fattori che portano i più a sposare una concezione punitivista della giustizia sono molteplici. Vari e di diversa natura, tutti contribuiscono alla formazione di una convinzione giustizialista.

Per citarne qualcuno, si potrebbe partire dalle paure, dai timori e dalle fobie covati irrazionalmente e rafforzati quotidianamente dall’allarmismo mediatico. In certi casi, invece, a incidere negativamente è la formazione politica che, a seconda dello schieramento, suggerisce l’utilizzo strumentale della spada penale nei confronti di questa o di quella categoria, consiglia la lotta a questo o quel nemico attraverso il braccio armato della legge. Oppure, più semplicemente, nella costante estemporaneità del quotidiano, l’assenza dei momenti o della volontà per approfondire, per interrogarsi su cosa sia una giustizia giusta, giocano un ruolo non secondario. Tra tutte queste ragioni, le quali appaiono talvolta addirittura comprensibili o comunque giustificabili, ce n’è una che, rendendo quasi impossibile il confronto, risulta particolarmente insopportabile.

È di gran lunga la forma peggiore di giustizialismo, quella gridata dai “puri” che puntano l’indice contro gli “impuri”; quella dei ricchi che ritengono che i poveri nascano criminali e quella dei poveri che si convincono che solo i ricchi possano delinquere; quella di chi scambia il reato con il peccato, il diritto con la morale, di chi confonde la giustizia penale con la giustizia sociale, il giusto processo con la vendetta pubblica organizzata. Si tratta della più arrogante e della più cieca delle convinzioni: riposa sulla supposta ed autoattribuita superiorità morale di chi considera e definisce ad alta voce il diritto penale “il diritto dei delinquenti”, a volersene distanziare, a sottolineare il divario che esisterebbe tra chi parla e chi ne viene travolto, di chi è convinto che servano leggi più dure, pene più aspre e maggiore severità, convinto che questa violenza lo proteggerà e che da essa non verrà mai colpito.

È questo il giustizialismo di chi non si guarda allo specchio, negando la sua umanità, o di chi ci si guarda troppo, dimenticandosi della sua fallibilità. È, in definitiva, l’opposto esatto del garantismo, che è certezza del dubbio, esercizio del limite e fiducia nell’uomo.

*Francesco D'Errico, presiente Extrema Ratio