Leonardo Becchetti, economista all’università di Tor Vergata, dopo il viaggio di Draghi negli Stati Uniti ragiona sul fatto che il Gas naturale liquefatto (Gnl) «può essere una soluzione nel breve periodo» ma afferma che «la soluzione ai nostri problemi è accelerare sulle rinnovabili».

Professor Becchetti, l’aumento di Gnl dagli Usa verso l’Italia e l’Europa può essere un buon viatico all’addio graduale al gas russo?

A brevissimo termine sì. Dobbiamo liberarci di quello che per noi è il 19 per cento del totale di fabbisogno di energia. Dipendiamo per questa percentuale dal gas russo e nel breve periodo è bene prendere gas da paesi democratici piuttosto che da chi ha gli stessi problemi della Russia, ad esempio l’Algeria. Ma non scordiamoci che il Gnl costa molto e quindi secondo me la via maestra è accelerare sulle rinnovabili. Siamo al 16 per cento del fabbisogno energetico prodotto con rinnovabili, la Norvegia al 66. Non si capisce perché noi non possiamo aumentarlo. Come ha annunciato Brunetta possiamo ad esempio mettere pannelli fotovoltaici negli edifici pubblici. Parliamo di medio lungo periodo come qualcosa di molto lontano ma installare pannelli solari è semplicissimo. Possiamo farlo domani.

Nel frattempo però si parla della riapertura di centrali a carbone: è giusto puntare su questo in caso di emergenza?

La riapertura delle centrali a carbone è la peggiore soluzione possibile. Sappiamo infatti che dal punto di vista della salute e del clima il carbone è peggio di gas e petrolio. A Roma in questi giorni fa caldissimo e non siamo nemmeno a fine maggio, non credo sia il caso di peggiorare il pianeta che ci ospita. Quindi dobbiamo usare “farmaci” che non facciano male, come appunto le rinnovabili. Nel brevissimo termine possiamo anche diversificare le forniture di gas, questo sì.

L’Italia è pronta ad accogliere il Gnl americano?

Si perché i tre rigassificatori ora non lavorano a pieno regime quindi possono certamente accogliere un aumento di attività. Se poi se ne aggiungono altri sarà ancora più facile.

A proposito di produrre energia, c’è discussione attorno al termovalorizzatore di Roma. Cosa ne pensa?

Posto che l’obiettivo deve essere quello di ridurre l’indifferenziata che poi va a discarica o bruciata, i termovalorizzatori più moderni tipo quello che c’è in Danimarca sono la soluzione migliore, ma bisogna fare molta attenzione a non fare investimenti troppo grandi. Il rischio è di diventare il collettore dell’indifferenziata di tutte le altre zone, che è quello che succede oggi a Copenaghen. Il fatto che l’impianto ha produzione ampia attira i rifiuti anche di altri paesi, finendo per creare un mostro che continuamente necessita di essere alimentato con l’indifferenziata. Quindi va fatto un investimento di piccole dimensioni.

In che modo le sanzioni su petrolio e gas potrebbero cambiare lo sviluppo della crisi energetica?

Dal punto di vista dell’energia siamo dentro a un braccio di ferro che è lo specchio di quello che riguarda la guerra in sé. Nel momento in cui la Russia minaccia di bloccare le forniture di gas verso l’Europa sa benissimo che non può costruire all’istante nuovi gasdotti verso altri paesi. Quindi sono dichiarazioni di facciata, perché renderle concrete le si ritorcerebbe contro. Stessa cosa vale per noi quando diciamo di non voler più comprare gas dalla Russia, perché sappiamo benissimo che almeno a breve non possiamo farlo. Insomma, credo che le minacce non siano sempre credibili. Il rischio della guerra è che più va avanti più si riduce lo spazio della razionalità.

Ed è per questo che lei insiste sulle rinnovabili: in che modo l’Italia può accelerare sotto questo punto di vista?

Secondo me l’Italia può passare dal 16 per cento di fabbisogno energetico attuale derivante dalle rinnovabili a un 40- 50 per cento abbastanza rapidamente. Ma deve fare alcune cose. Innanzitutto serve un credito d’imposta per incentivare l’investimento delle aziende nel diventare autoproduttrici di energia. Cosa che tra l’altro è stata esplicitamente richiesta dalla Cna al governo. Poi si deve dare l’esempio mettendo pannelli solari sugli edifici pubblici e infine favorire lo sviluppo delle comunità energetiche, cioè sistemi attraverso i quali i cittadini diventano produttori e consumatori di energia migliorando la situazione delle bollette. Le prime comunità sono nate cento anni fa nelle valli alpine e oggi sono il modo più incentivato dall’Ue per produrre energia.

Per farlo crede che sia utile il ministero della Transizione energetica?

Assolutamente. Il ministro Cingolani è in prima linea e condivide lo spirito anche con altri visto che esiste il Consiglio interministeriale della transizione energetica che coinvolge anche il ministero dell’Economia, quello del Lavoro e quello delle Infrastrutture. Insomma, le decisioni vengono prese collegialmente e questo è un bene.