Giuseppe Pignatone è una voce di peso nel panorama della giustizia. E ora che non esercita più le funzioni nella magistratura italiana -presiede il Tribunale vaticano - è forse anche più libero nelle proprie analisi. Le propone su Repubblica e sulla Stampa.

Come ha fatto ieri, dalle colonne del quotidiano torinese: ha parlato di efficienza del servizio giustizia. Ha ricordato che, tra i requisiti di una giustizia che funziona, va annoverata la prevedibilità delle decisioni, la coerenza interna del sistema. Non è un richiamo insignificante. Anche perché Pignatone lo collega ai poteri dei “capi” negli uffici giudiziari, anche di coloro che, come ha fatto lui a Roma, guidano una Procura. Segnala alcuni passaggi qualitativamente utili della riforma ordinamentale, la famigerata riforma Cartabia contro cui l’Anm ha deciso di scioperare. E ricorda per esempio gli “specifici obblighi, sanzionati disciplinarmente, cui dovranno attenersi i dirigenti e anche i singoli magistrati”, in particolare qualora non si osservino determinati princìpi organizzativi.

Ebbene: si tratta di aspetti elencati fra quelli per i quali il “sindacato” delle toghe ha deciso di protestare. E anche quel richiamo di Pignatone al “contrasto fra la libertà di giudizio dei singoli magistrati e l’esigenza di assicurare uniformità e prevedibilità delle decisioni in casi seriali o almeno analoghi” non è così estraneo a un incrocio con la norma più odiata dall’Anm: il passaggio della riforma sul Csm che introduce il cosiddetto “fascicolo di valutazione”, in cui si dovrebbero riportare le “gravi anomalie” nelle statistiche sugli esiti dei provvedimenti assunti da ciascun magistrato.

Insomma, l’ex procuratore di Roma, con il proprio consueto garbo, con la diplomazia di chi ha praticato da maestro la politica giudiziaria, avverte i colleghi che alcuni dei motivi richiamati nello sciopero sono poco condivisibili. E non è la sola voce autorevole della magistratura ad assumere una posizione del genere. Si potrebbero citare Armando Spataro, Edmondo Bruti Liberati, il presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli, l’ex presidente Anm Pasquale Grasso. Che vuol dire? Che lo scetticismo espresso sullo sciopero da figure del genere rafforza un’impressione: l’Anm sembra protestare più che altro per prendere le misure alla nuova politica. Capire se fa sul serio, se intende ingaggiare un conflitto di lunga durata con la magistratura. Perché una cosa è certa: una politica così spregiudicata nel rapporto con le toghe non si vedeva da tutt’altre epoche della storia repubblicana. E l’interlocutore prova evidentemente a organizzare una sfida che non aveva messo in programma.