«Gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi su una questione molto semplice: vi va bene la giustizia penale che abbiamo o volete una rivoluzione copernicana? Se sono contenti di questo sistema penale e procedurale, che è completamente fallito, allora possono anche disinteressarsi a questo referendum. Ma se invece pensano che ci sia la necessità di un cambiamento radicale, che non potrà essere quello del minimo sindacale della pur valida ministra Cartabia, allora questa è la buona occasione - e temo l'ultima - per dare un forte messaggio di dissenso e anche di capacità costruttiva». È questo l’appello al voto di Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto a Venezia e presidente del comitato per il Sì al Referendum, lanciato ieri alla Camera nel corso di una conferenza stampa sull’iniziativa “Sì per la libertà, Sì per la giustizia”.

Un appello al quale hanno preso parte non solo i membri del comitato, ma anche i parlamentari di quasi tutti gli schieramenti politici: Roberto Calderoli (Lega), Lucia Annibali  Iv), Enrico Costa (Azione), Matilde Siracusano (FI), Irene Testa (Radicali), Federico Mollicone (FdI), Andrea Ostellari (Lega), Jacopo Morrone (Lega), Enza Bruno Bossio (Pd), Giusi Bartolozzi (Misto) e Guido Crosetto, tutti convinti che la riforma partorita dal parlamento da sola non basti a risolvere le storture della giustizia. Nordio ha evidenziato tutte le contraddizioni di un sistema che «poggia su tre pilastri che sono diventati incompatibili» : da un lato un codice penale «fascista», firmato da Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III, «perfettamente compatibile con la Costituzione nata dalla resistenza», dall’altro un codice di procedura penale «firmato da una medaglia d’oro della resistenza, il professore Vassalli», ma «demolito continuativamente dalla Corte costituzionale». Un «pasticcio» che «ha prodotto tutta quella serie di negatività per la quale i cittadini hanno perduto fiducia nella giustizia».

Il 12 giugno gli italiani saranno dunque chiamati a votare sulla riforma del Csm, l'equa valutazione dei magistrati, la separazione delle carriere dei magistrati, i limiti alla custodia cautelare e l'abolizione della legge Severino. Per questo secondo il leghista e vicepresidente del Senato Roberto Calderoli «saranno madri e padri costituente sulla riforma della giustizia». Con la possibilità di mettere mano a quello che per Nordio è «il paradosso per cui si entra in prigione facilmente prima del processo e si esce altrettanto facilmente dopo la condanna definitiva quando si è dei colpevoli conclamati», al potere «immenso» in mano ai pm, che possono anche far cadere governi e alle porte girevoli tra pm e giudici. Mentre le riforme, ha sottolineato l’ex magistrato, sono finalizzate principalmente all’ottenimento degli aiuti europei. Il referendum sarebbe perciò «l’unico strumento a disposizione per cambiare qualcosa», ha evidenziato dal tesoriere del Comitato, Andrea Pruiti Ciarello, l’inizio della rivoluzione tanto attesa.

Proprio per tale motivo, ha sottolineato Bartolomeo Romano, giurista e vicepresidente del Comitato, servono cinque sì: «Restituiamo la voce ai cittadini, perché questa è l'anima della democrazia - ha affermato -. Ma prima di andare a votare serve che l’opinione pubblica sia informata e in questo è indispensabile il contributo di tutte le forze politiche, di qualsiasi coloritura, perché la giustizia, purtroppo o per fortuna, nel bene e nel male, ci coinvolge tutti e tutti abbiamo il diritto e dovere di occuparcene».

Il primo aiuto concreto in tal senso è arrivato da Fratelli d’Italia, che pur sostenendo solo due quesiti referendari - quello sulla separazione delle funzioni e sul voto degli avvocati nei consigli giudiziari ha annunciato un'iniziativa contro lo «scandalo» del mancato accesso all'informazione. «In quanto membro della Commissione di vigilanza Rai - ha dichiarato Mollicone - presenterò un question time per chiedere che si parli del referendum anche nei talk show di prima e seconda serata». Ma non solo, «si potrebbe anche sfruttare le amministrative per creare un volano alla partecipazione al voto».

La Giustizia, ha sottolineato il costituzionalista e consigliere del Comitato, Giovanni Guzzetta, non riguarda la pretesa della politica di tagliare le unghie alla magistratura o la pretesa della magistratura di fare pagare i conti alla politica, bensì «milioni di persone» estranee a tali ambienti. «La giustizia non funziona per tante ragioni», ha sottolineato, ma in parte anche per colpa della «chiusura corporativa» delle toghe. La soluzione viene dagli stessi Costituenti: applicare il sistema misto del Csm anche ai consigli giudiziari. E a chi sostiene che i quesiti referendari rappresentino una minaccia alla Costituzione Guzzetta ha risposto in modo chiaro: «Non è accettabile che qualcuno si scagli contro il referendum assumendo che siano una minaccia per i valori costituzionali - ha sottolineato -. Questo non perché lo dico io, ma perché lo ha detto la Corte Costituzionale nel momento in cui li ha ammessi al voto popolare. Quindi confrontiamoci quanto ci pare, ma per favore non invochiamo la Costituzione solo per coprire la debolezza delle nostre argomentazioni».

Dalla politica non è mancato il sostegno al referendum, specie dalle forze di centrodestra, che hanno anche sottolineato le lacune della riforma Cartabia. Il cui merito, ha affermato Siracusano, è stato però quello di cancellare alcuni «obbrobri», come il «fine processo mai». Il referendum sarà dunque «un passaggio chiave» e «l’evidente tentativo di boicottaggio è direttamente proporzionale al tentativo di condizionamento dell'Associazione nazionale magistrati sul governo e sul Parlamento. I referendum devono essere lo sciopero dei cittadini contro quella parte di magistratura che ha disonorato e mortificato il lavoro della magistratura migliore».

Caro alla Lega è soprattutto il quesito sulla separazione delle funzioni, di cui «Giovanni Falcone parlava già nel 1989», ha sottolineato Morrone. «Ad oggi la riforma Cartabia fa un timido passo in avanti e, secondo il nostro punto di vista, per avere un giudice terzo e imparziale e indipendente è necessaria una separazione seria delle carriere». La scommessa, ha sottolineato Costa, è coinvolgere i cittadini nell'urgenza della modifica del sistema giustizia. «Di posizioni conservatrici ce ne sono tante - ha aggiunto -, sono quelle che vedremo lunedì con lo sciopero dell’Anm», che vuole «mantenere tutto intatto». Sciopero, ha aggiunto Bartolozzi, che appartiene in primo luogo «alle correnti», perché la maggior parte della magistratura italiana «vuole una riforma vera», che non è «quella che questo Parlamento ha licenziato». Proprio per questo l’appuntamento del 12 giugno è «epocale, per quella riforma che il Paese attende da troppo tempo e che non è più rinviabile».