È ormai in corso da oltre due mesi una guerra, una guerra europea non solo perché l’Ucraina - parola che significa “terra di confine”- è frontiera con l’Europa, ma perché l’intero Occidente si è ritrovato anche inaspettatamente unito e anzi compatto nel condannare, dando seguito con atti precisi, l’aggressione armata della Federazione Russa di Putin contro l’Ucraina. Due mesi nei quali il dibattito pubblico, in particolare italiano, anziché analizzare le cause remote, profonde, che sempre una guerra ha, si è concentrato sui quisquilie e pinzallacchere. Media, e naturalmente in particolare tv e social, che enfatizzano dettagli di colore, ore di dibattiti su questo o quel singolo, magari un misconosciuto cattedratico, con cinquanta sfumature di putinismi; polemiche che in altri tempi sarebbero state bollate come “di pianerottolo” su più che marginali frange definite con il surrea-le neologismo di “neneisti”; lo stesso neologismo usato per ostracizzare chiunque non calzi a modo l’elmetto o lo scolapasta d’ordinanza; e infine, soprattutto, il pacifismo - la religione di Aldo Capitini- brandito come insulto. Noi non c’eravamo, ai tempi della polemica degli interventisti nel '15-‘ 18 del secolo scorso, ma quella di oggi sembra perfettamente assimilabile alla temperie d’allora. Eppure è il capo dello Stato che, ad ogni intervento e con ancora più forza nel recente discorso al Consiglio d’Europa di Strasburgo, ricorda come soccorrere un Paese aggredito e che all’aggressione resiste sia più che indispensabile: è doveroso. Ma sottolineando sempre che lo sguardo va tenuto fisso sull’obiettivo, che è la pace. Non la guerra, e nemmeno una riedizione della Guerra Fredda: la pace. La sicurezza comune, nel XXI secolo. E se Sergio Mattarella - che a suo tempo fu pure ministro della Difesa- appartiene alla grande tradizione del cattolicesimo democratico - quella cultura politica che scende dai De Gasperi e dagli Aldo Moro, per capirci- è adesso un uomo della sinistra liberale, un socialista come l’attuale presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, a dire qualcosa che potrebbe sembrare perfino ovvio, e invece brilla e risuona come straordinario, nel fragoroso vuoto di senso del dibattito pubblico nazionale: posto che «Putin sta sbagliando tutto», noi, noi occidentali, europei ed americani, noi democratici liberali, dove abbiamo sbagliato? Quale concatenazione di errori ha portato a far riapparire la guerra nei nostri orizzonti? Le risposte che Giuliano Amato si è dato - a una domanda che in cuor loro di certo si son posti anche molti semplici cittadini- sono particolarmente rilevanti non solo perché si tratta di un’altissima carica istituzionale, depositaria dei valori costituzionali, ma perché si tratta di un uomo che ha fatto la storia del nostro Paese e dell’Europa, e che quelle vicende ha potuto osservare molto da vicino. Nell’intervista del tutto eccezionale che gli ha fatto Simonetta Fiori - il pretesto è il suo libro “Bentornato Stato”, fresco di stampa per Il Mulino- Amato dice subito «avverto il peso del fallimento europeo e dell’intero Occidente». E parla del sogno incompiuto, e oggi mandato in pezzi dalla guerra- di un’Europa legata a Russia e Stati Uniti da un grande progetto comune. Il lettore ricorderà che vi sono stati anni in cui la Federazione Russa era ammessa in qualità di osservatore ai vertici della Nato, e non esisteva il G7, ma il G8. Cosa accadde, come fu che si tornò indietro da quello che sembrava un cammino appena intrapreso? Amato ricorda «quando nel giugno del 2000, Putin che oggi è irriconoscibile, gonfio, e che dice cose deliranti e compie azioni terribili, mi venne a trovare a Palazzo Chigi: era giovane e parlava degli interessi comuni che avremmo dovuto valorizzare». Ma al di là dell’ involuzione di una leadership precipitata nella tirannia, sappiamo che tutto si giocò negli anni dell’allargamento a Est dell’Unione europea, che le destre all’epoca dominanti nei governi europei chiamavano “riunificazione”, e non a caso: per marcare la soglia politica della differenza, e della diffidenza, verso quella che sin dal 1991 non era però più l’Unione Sovietica. È stato un bene che quei Paesi, dice Amato, siano entrati in Europa, ma le restrizioni e le limitazioni di sovranità che avevano vissuto sotto l’URSS hanno rappresentato «un prezzo così alto che mentre noi nella parte occidentale dell’Europa siamo rimasti eredi dell’Ostpolitik, e cioè di una politica di distensione verso Mosca, loro han continuato a vedere la Russia come continuazione dell’URSS da cui erano usciti». A Simonetta Fiori Amato racconta che fu Javier Solana, a metà degli anni 2000, a lanciare l’allarme. L’Alto Rappresentante per la Politica Estera di Bruxelles «disse chiaramente che non era più pensabile un rapporto tra la NATO e la Russia modellato sul rapporto tra la NATO e l’Unione Sovietica». Come dire che la Guerra Fredda era finita ( e da dieci anni almeno…) e si rendeva necessario identificare interessi comuni tra europei e russi: «Bisognava creare un sistema di sicurezza e di difesa comune, fondato sugli interessi di europei, russi ed americani». A impedire la realizzazione di quel grande, abortito disegno, furono «diffidenze di ordine politico, sia in Europa che in America, e diffidenze militari nell’organizzare un nuovo assetto di difesa». Quindi, è la valutazione finale di Amato, «non fu ampliare i confini dell’Unione europea fino all’anno Russia: fu essere rimasti chiusi in noi stessi, e aver portato la NATO ai confini». Amato ricorda anche un episodio cruciale: «Prima del vertice NATO di Bucarest ( siamo nel 2008 n. d. r.), Fiona Hills, consigliera di diversi presidenti americani, cercò di dissuadere George W. Bush e Dick Cheney dall’ includere nella NATO Georgia ed Ucraina, scatenando l’ira del presidente e del vicepresidente americano». In quel vertice, come è noto, a poco poterono anche la contrarietà di Merkel e Sarkozy all’allargamento del Patto Atlantico. Ne uscì, valuta Amato, «un Occidente superficialmente preda di pulsioni conservatrici». Insomma, ci sarebbe materiale per approfondire. Anche perché solo gli storici militari potrebbero davvero spiegarci some siamo arrivati sin qui, al riapparire della guerra sinora sconosciuta ai nostri orizzonti. Cosa fece fallire quel tentativo di un nuovo ordine mondiale improntato alla sicurezza, e dunque alla pace? Ci sarebbe, come dire, da discuterne.