Maurizio Lupi, leader di Noi con l’Italia, sul futuro della coalizione di centrodestra spiega che «un conto è saper interpretare il malcontento di una fetta, anche importante, dell’elettorato, come ha fatto Le Pen; un altro è candidarsi alla guida di un paese». Per poi aggiungere che «se vuoi raggiungere questo obiettivo non basta l’interpretazione del malcontento ma serve un diversa assunzione di responsabilità». Per questo, conclude, «non è detto che il candidato presidente del Consiglio debba per forza essere il leader del partito che prende più voti».

Onorevole Lupi, nel centrodestra i vostri complimenti a Macron si sono sovrapposti al sostegno di Salvini a Marine Le Pen, nonostante la sconfitta. Come possono coesistere realtà diverse?

Il centrodestra non è un partito unico ma una coalizione nella quale si mettono insieme diversi soggetti ( sottolineo diversi) uniti da una visione di proposta di governo e da un progetto politico per la guida del paese. Il centrodestra nasce da un capolavoro di Silvio Berlusconi, che lo fondò riuscendo a far dialogare la Lega con la sua identità federalista e Alleanza nazionale che parlava invece di unità nazionale.

Son passati quasi trent’anni e quel «capolavoro» appare irripetibile. Tornando al paragone con i voto francese, non crede che la parte moderata e quella estremista oggi siano troppo distanti?

Ogni diversità può essere un arricchimento. Se guardiamo all’Europa, Salvini è nel gruppo di Le Pen, Meloni nei Conservatori e noi nel Ppe. Dunque che Salvini rivendichi un’appartenenza comune a Le Pen non mi scandalizza, il concetto fondamentale è un altro.

Quale?

Un conto è saper interpretare il malcontento di una fetta, anche importante, dell’elettorato, come ha fatto Le Pen andando oltre il 40 per cento. Un altro è candidarsi alla guida di un paese. Se vuoi raggiungere questo obiettivo non basta l’interpretazione del malcontento ma serve un diversa assunzione di responsabilità.

Cosa dovrebbe fare dunque Salvini per risultare “candidabile”?

Serve un progetto moderno, moderato e responsabile che rappresenta ciò che noi chiamiamo centro. Salvini fa bene a rivendicare la sua identità, ma se vuole candidarsi assieme alla coalizione deve sapere che la sfida finale è governare, e quindi serve una visione di governo responsabile. In tutte le democrazie occidentali la lezione è la stessa, basta vedere al Movimento 5 Stelle, che ha preso il 33 per cento ma poi non ha saputo governare. Altrimenti ci condanniamo legittimamente a stare all’opposizione.

Eppure la regola della vostra coalizione è semplice: chi prende più voti è il candidato a palazzo Chigi. Come la mettiamo?

Su questo va fatta una riflessione chiara. Uno dei problemi di cui abbiamo risentito è stato esattamente questa continua battaglia per la leadership del centrodestra. Contrariamente a quella di centrosinistra, la nostra coalizione nacque su un leader riconosciuto, che era Silvio Berlusconi. Si fondava su un pilastro, rappresentato prima da Forza Italia e poi dal Pdl, a cui si aggiungeva il contributo fondamentale degli altri partiti. Oggi la situazione è diversa, c’è un indebolimento della proposta politica moderata.

Quindi?

Quindi non è detto che il candidato presidente del Consiglio debba per forza essere il leader della coalizione, cioè del partito che prende più voti. Altrimenti rischiamo di rimanere impantanati nella battaglia per la leadership invece di giocare quella per il governo del paese.

In base a cosa dunque dovreste decidere l’uomo o la donna da mandare a palazzo Chigi?

Può essere scelto chi riesce meglio a fare sintesi, l’importante è che sia credibile per il governo del paese. D’altra parte è quello che pensava il centrosinistra con Prodi, che non era il leader politico di una parte ma rappresentava l’unità della sinistra nel contrapporsi al centrodestra di Berlusconi. Non sarà un caso se durante la prima Repubblica il segretario del partito di maggioranza, cioè la Dc, non faceva mai il presidente del Consiglio.

Può essere Meloni il nome giusto per fare sintesi?

Meloni fa bene a rivendicare il suo ruolo e non può essere esclusa. È la leader che è riuscita a portare il suo partito con coerenza dal non riuscire a superare lo sbarramento delle elezioni europee del 2014 ai consensi di oggi. La sua è una leadership autorevole a cui bisogna portare rispetto e con cui bisogna dialogare e costruire.

A proposito di dialogo, quanto spesso sente gli altri leader di coalizione?

Dopo le elezioni del presidente della Repubblica non ci siamo mai visti, e oggi con le Amministrative rischiamo di farci del male. Ecco perché più che dire se il leader sarà Meloni o Salvini o altri bisogna ritrovare le ragioni di un’unità e di una proposta politica di governo.

In Sicilia le ragioni di questa unità sono ancora in alto mare. Crede ci sia chi lavora per unire e chi per dividere?

Noi con l’Italia, che in Sicilia ha una sua forza importante grazie a personalità come Saverio Romano, sta lavorando per l’unità. Il tema vero è che bisogna avere il coraggio di ritrovarsi tutti insieme. C’è la questione della presidenza di Regione che Fratelli d’Italia pone e c’è il tema Palermo, visto che dopo dieci anni di Leoluca Orlando si può tornare a governare la città. Occorre lavorare fino all’ultimo per una proposta unitaria. Mi auguro, come dice Meloni, di non giocare a perdere.

Come si può trovare l’unità di una grande coalizione se al suo interno non riescono a unirsi nemmeno i partiti più piccoli, voi compresi?

Noi abbiamo tenuto viva una proposta, rimettendo insieme una tradizione culturale e valoriale importante. Ma la nostra disponibilità da sempre è quella di costruire un progetto più ampio nel centrodestra che riproponga con forza il pilastro fondamentale dei moderati. Anche perché tanti piccoli de Gasperi non fanno un de Gasperi.

E se il pilastro fosse la lista unica Lega- Forza Italia?

Se riguarda solo quei due partiti, auguri. Se invece è un’idea di un progetto più ampio occorre guardare alle ragioni politiche. Tutto ciò che può unire ha il nostro interesse, se ci coinvolgono. Ma bisogna ricordare che la nostra differenza con Le Pen, ad esempio, non è solo di forma, ma di sostanza.