Chiamarlo nervosismo è poco. Nel Pd l'uscita di Conte sulle elezioni francesi, quel rifiuto di schierarsi apertamente a favore di Macron, ha innescato una fibrillazione che a 48 ore di distanza ancora non si placa. Proprio “Giuseppi”, l'uomo chiave che ha permesso un avvicinamento tra Pd e M5S altrimenti impossibile, diventa ora l'ostacolo, il problema, il guaio come un Di Battista qualsiasi?

Un po' pesa la sospettosità che nella politica italiana è sempre stata un elemento presente e forte ma che dopo le giravolte pirotecniche di questa legislatura ha raggiunto picchi mai neppure immaginati prima. Il gioco delle alleanze impossibili che hanno permesso la nascita di tre governi uno via l'altro e uno più bizzarro e imprevedibile dell'altro ha dimostrato che tutto è possibile e se tutto è possibile tutto è anche temibile. Anche, nel caso specifico, una resurrezione dell'alleanza gialloverde il cui spettro è apparso in occasione dell'elezione del presidente per non esser più fugato. Ma incide di più un freddo realismo: la consapevolezza che quel che era possibile prima della guerra lo è molto meno oggi. La segreteria del Pd, quella che più punta sulla difesa dell'alleanza con i 5S, sapeva di dover reggere lo stress di un Movimento impegnato a recuperare spazi e identità sgroppando a più non posso. Ma altro era farlo nel cortile di casa, sia pure sotto la vigilanza occhiuta di Bruxelles, altro è farlo ora che la partita è a tutti gli effetti mondiale.

Poi ci sono quelli che l'alleanza non vedono l'ora di affossarla, la minoranza di Base riformista e forse non solo quella: figurarsi se si lasciano sfuggire l'occasione d'oro! Premono, spingono, insistono come possono e se ci scappa una provocazione per innervosire ulteriormente il già molto teso socio ancora meglio. Non mancano quelli, a metà strada tra la minoranza e Letta, che vorrebbero fare a Conte quel che Biden sogna di fare a Putin: «Noi siamo alleati con il M5S, non con Conte» precisava un dirigente di peso giorni fa lasciando intendere che se l' avvocato del popolo tornasse al foro e lasciasse perdere la politica sarebbe per gli alleati tanto di guadagnato. Vien da sorridere che appena un anno fa il licenziabile era considerato né più né meno che «insostituibile».

Non sono umori solo di vertice. Nel dicembre scorso il Pd lombardo aveva organizzato un sondaggione per capire cosa il corpaccione del partito pensi dell'alleanza rossoverde. Sparuta la minoranza decisamente contraria, meno del 10 per cento ma minoritari anche i convintissimi. La maggioranza assoluta riteneva opportuna solo una “alleanza di scopo”. Ma questo in dicembre e non c'è bisogno di aggiungere che da allora le cose sono molto cambiate.

Certo, se la sinistra piange la destra non sta messa meglio. L'intemerata di ieri di Giorgia Meloni contro Salvini e Berlusconi rivela quanto elevato sia il nervosismo anche da quelle parti. La paura a breve di sorella Giorgia è che gli alleati si preparino, subito dopo le amministrative, a supportare una riforma in senso proporzionale della legge elettorale già accettata senza più remore dal Pd, anche in seguito alle crescenti difficoltà con i 5S di Conte. Ma il timore a più lungo raggio è che, con qualsiasi legge elettorale, Lega e Fi stiano seriamente considerando l'ipotesi di un'alleanza post elettorale con il Pd, in caso di rottura tra il Nazareno e Conte. L'ipotesi è meno assurda di quanto non appaia a prima vista: quale altra idea potrebbe infatti avere in mente l'ala del Pd che mira a rompere con il Movimento? E dove altro potrebbe rifugiarsi Letta se, complice uno dei mille possibile incidenti che la crisi ucraina potrebbe innescare, dovesse prendere dolorosamente atto dell'impossibilità di proseguire a braccetto con “Giuseppi”?

Gli effetti caotici indotti dai giri di valzer di questa legislatura, la caduta di ogni possibile ordine nel quadro politico, non si fermano qui. Conte non vuole la rottura ma neppure può rinunciare a rischiarla, pena il sacrificio di ogni possibile ruolo non puramente ancillare del Movimento. Dunque anche lui deve, per ogni evenienza, considerare possibili alternative nel malaugurato caso di una separazione dal Pd, e anche per lui la sola alternativa passa per un ritorno al dialogo e forse qualcosa di più con la Lega. Nella quale, come se la confusione non fosse sufficiente, convivono oggi anime tanto diverse da lasciare aperta tanto la via sempre più incerta della coalizione di centrodestra, quanto quella centrista ed “emergenziale” di una futura alleanza col Pd e quella populista di un ritorno alla coalizione gialloverde. Perché la somma tra lo sbando totale della politica negli ultimi e la drammatizzazione indotta da una crisi immensa come la guerra in Ucraina rende impossibile ogni vero equilibrio politico e dunque lascia aperte tutte le porte, con esiti invitabilmente caotici.