Destino insolito quello della mega intervista di Mario Draghi pubblicata domenica di Pasqua dal Corsera e firmata dal suo direttore Luciano Fontana. L’intervista è già scomparsa dal radar dell’attenzione pubblica. Inevitabile, c’è la guerra nel mondo che assorbe e butta indietro tutto il resto. Ma accade anche perché certe interviste vengono rilasciate più per captare e valutare le reazioni che provocano tra chi le legge, e soprattutto dei soggetti chiamati direttamente in causa, che non per segnalare opinioni e progetti di chi le rilascia. La sensazione è che l’intervista di Pasqua sia nata più per verificare e portare a galla gli umori più profondi e le reazioni del ceto politico italiano e del pacchetto di mischia che lavora confusamente pensando prima di tutto alle elezioni del 2023, che non per comunicare nuovi possibili scenari o sollecitare richieste di attenzione da parte di Draghi.

Obiettivo raggiunto se la politica italiana s’è tuffata solo e specialmente sulle ultimissime parole di Draghi, cioè su 12 delle circa cinquecento righe dell’intero manufatto. Non per interpretarle, perché sono chiarissime, ma per la voglia di gran parte del ceto politico di segnalarle ai lettori e intascarle come preziosa garanzia da conservare per poi tirarla fuori in futuro se le cose dovessero andare in modo diverso.

Draghi (non l’intervistatore) in quelle dodici righe approfitta di una domanda sul Covid e la guerra per introdurre di propria iniziativa un argomento pesante: «Bisognerebbe che i Presidenti del Consiglio fossero tutti eletti». Una considerazione che, pur senza infierire, allude a un’anomalia e alla gravità in cui naviga la politica italiana sempre più spesso costretta a far ricorso per Palazzo Chigi a personalità non elette dai cittadini. L’intervistatore quasi interrompe Draghi provocandolo: «Le piacerebbe essere eletto?». E Draghi fulmineo e secco: «No». Per poi spiegare: «Ho molto rispetto per chi s’impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore». Fine dell’intervista.

Insomma, l’attuale capo del governo non capeggerà nessun partito alle prossime elezioni del 2023 né sgomiterà per trovare spazio in uno di quelli esistenti. Sia chiaro: non è una notizia bomba. Non sono pochi gli analisti che hanno da sempre giudicato improbabile che Draghi scendesse in politica. Anche il Dubbio il 9 aprile scorso valutava con nettezza: «E Mario Draghi? Che scenda in campo (una specie di Monti 2) capeggiando un partito è da escludere».

Il capo del governo giudica invece necessari e urgenti un radicale rinnovamento della politica italiana e l’innesco di nuove generazioni per iniziare a cambiare il mondo con cui ha dovuto fare i conti durante la sua esperienza di primo ministro. Una politica che avverte stanca, vecchia, priva progettualità, interamente assorbita com’è dallo scontro per la conquista di premiership su vacillanti aggregazioni di centrodestra e centrosinistra divise e frantumate al loro interno. Avverte che lui non ci sarà in quel campo di risse in cui tutti giocano contro tutti.

Sorvoliamo, per non fare terrorismo contro il mainstream politico del paese, sul fatto che anche Mattarella “intendeva” non essere rieletto presidente della Repubblica, certamente con la stessa determinazione che oggi spinge Draghi ad avvertire di non voler essere il prossimo presidente del Consiglio. Ma ricordiamo anche che fu proprio Draghi a dare un grande contributo per far tornare Mattarella sue proprie opinioni. In realtà l’intervista di Draghi è un’operazione che, ancora una volta, lancia l’allarme alludendo con severità alla realtà della crisi politica italiana, specie se si tiene conto che la maggioranza assoluta degli ultimi sette governi della Repubblica, quattro su sette, sono stati presieduti da personalità mai elette in alcun passaggio dal voto diretto dei cittadini italiani (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2, Draghi).

Draghi non sarà, quindi, nel pacchetto di mischia, hanno appuntato felici i segretari di quasi tutti i partiti e gli aspiranti premier sempre più debolmente sostenuti dagli italiani (nessuno di loro raggiunge o supera decisamente il 20 per cento dei consensi a fronte del quasi 60 di Draghi, inchiodato a quella quota da mesi). L’ex presidente della Bce non è amato, è noto, dalla politica italiana, che l’ha dovuto sopportare come conseguenza della propria incapacità ad affrontare problemi drammatici in un’emergenza tragica.

Ma, ed è questo il risvolto inquietante, nessuno, tiene conto che oggi siamo dentro una guerra destinata a cambiare in modo inedito e profondo gli scenari mondiali e il futuro dei contemporanei. Nel Belpaese, con in testa il 2023, infuriano polemiche all’interno degli schieramenti e degli scenari politici che abbiamo conosciuto, mentre affiorano perfino allarmanti e misteriosi retroscena sull’affidabilità repubblicana di delicate strutture dello Stato. Draghi che ha gestito l’Italia nel momento più drammatico e delicato della sua storia recente avverte e tenta di aiutare la politica. È grave che la politica non riesca a ragionare e non si chieda, in questo quadro, cosa serve all’Italia. Né si chiede se, in questa delicata situazione, si può fare a ameno di una risorsa come Draghi, quale che sia il suo ruolo.